Regia di John Ford vedi scheda film
“Mi chiamo John Ford, faccio western.”
Una frase che è diventata un testamento artistico, eppure quando il regista la pronunciò molti ne rimasero sorpresi, in fondo John Ford a quel tempo era già considerato uno dei più grandi registi viventi ma non certo per i suoi film western, era l'autore di Un uomo tranquillo, Furore, Com’era verde la mia valle e Il Traditore, quattro Oscar alla regia nel corso di quasi 20 anni di carriera.
Certo aveva già diretto Ombre Rosse, Alba di Gloria, Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest e un’infinità di western del periodo muto con protagonista la leggenda Harry Carey, ma evidentemente quei film venivano considerati “minori” agli occhi di certi critici ma anche dei grossi Studios Hollywoodiani.
Per me che con quei film ci ero cresciuto non erano certo “minori”, tutt’altro, per cui quando anni dopo mi trovai di fronte la frase di Ford mi sembrò la cosa più ovvia del mondo, per me John Ford aveva sempre fatto western, grandissimi western.
Sentieri Selvaggi stravolse tutto, l’ho sempre considerato il più bel western della storia del cinema, ne rimasi folgorato fin dalla mia prima visione (ricordi di infanzia indelebili) e il mio amore incondizionato per questo film non è mai venuto meno nel corso degli anni.
Forse non è il miglior western di sempre, dato per scontato che certe classifiche in un contesto di eccellenza non hanno senso non ho nessuna difficoltà nell’ammettere che magari si può trovare qualcosa di altrettanto superbo, a ben vedere nella stessa filmografia di Fordiana ci sono almeno due opere che nel loro complesso si possono avvicinare alle vette artistiche di Sentieri Selvaggi, e quando scrivo questo penso a Ombre Rosse e Sfida Infernale.
La cosa non è comunque importante, il cinema e le passioni sono fatte di emozioni che non si possono catalogare o “misurare” (a volte neanche spiegare), per quanto mi riguarda The Searchers si merita un posto nell’olimpo dei capolavori del cinema, impossibile non essere travolti dalla bellezza (la magia) di alcune sequenze, essere semplicemente rapiti da quella porta che si apre mostrandoci il west in tutta la sua maestosità.
Sentieri Selvaggi non fu accolto bene dalla critica specializzata, sembra incredibile ma l’opera narrativamente piu complessa e audace di John Ford venne aspramente discussa, non piaceva ai benpensanti la sfaccettata e profondamente ambigua figura di Ethan Edwards ne tantomeno l’alone di intolleranza, che sfociava in alcune scene in vero e proprio razzismo, presente nel film.
In pratica vennero percepiti in modo negativo quelli che sono gli aspetti più caratteristici della pellicola, vedere un’icona, un vero e proprio mito di tanti film western come John Wayne uscire dagli schemi classici per trasformarsi in qualcosa di diverso era forse troppo per il pubblico dei primi anni ’50.
Ma l’onestà e la correttezza intellettuale di Ford si misura proprio in questa circostanza, il regista non esita nel mostrarci la faccia più cupa, rozza, ignorante (colma di rancore) del suo eroe, le sprezzanti battute iniziali verso il giovane Pawley (Jeffrey Hunter) “Ti si potrebbe prendere per un mezzosangue”, il ghigno beffardo mentre spara negli occhi di un cadavere indiano, la rabbia incontrollata sfogata sui poveri bisonti, Ethan Edwards è un personaggio colmo di un odio primitivo ma allo stesso tempo è anche un uomo combattuto, in lotta serrata contro la sua perversa natura.
Tratto dall'omonimo romanzo di Alan Le May e sceneggiato dal fido collaboratore Frank S. Nugent il film racconta l’ossessivo viaggio di due uomini (Ethan e il giovane Pawley) alla ricerca della piccola Debbie (Natalie Wood) rapita da un gruppo di razziatori Comanche, un viaggio lungo dieci anni tra speranze e delusioni, attraverso il west più selvaggio.
La pellicola si discosta molto dal romanzo cui è ispirata, nell’opera letteraria era il giovane Pawley il protagonista del racconto, mentre Ford stravolge completamente il testo e fa di Edwards il fulcro principale della storia, non contento rende il personaggio molto più cupo e violento, Ethan vuole chiaramente vendicare la morte dei suoi famigliari (periti nell’attacco indiano) ma la sua profonda rabbia lo spinge anche a desiderare di uccidere la giovane nipote, diventata nel frattempo la squaw del capo indiano Scar (Henry Brendon).
A Ford e Nugent si deve anche la scelta di fare di Pawley un mezzosangue e di rendere esplicita la relazione sessuale fra Debbie e Scar, tutte variazione che amplificano il peso drammaturgico della figura di Ethan Edwards, trasformandolo nel perno sul quale si regge tutto l’impianto narrativo.
Le motivazioni del protagonista restano ambigue fino all’ultimo, Edwards vuole liberare la giovane parente o cerca solo di placare la sua inesauribile sete di vendetta?
Tutto il fascino del film si gioca su questo interrogativo e Ford è abilissimo nello sviluppare il conflitto tra le due figure principali, allo stesso tempo però non si dimentica di delineare i personaggi di contorno e di alternare con la consueta maestria momenti altamente drammatici ad altri dal grande slancio ironico, un classico tra l’altro delle produzioni Fordiane.
Sentieri Selvaggi e John Wayne, un binomio indissolubile e vincente che oggi viene riconosciuto da tutti ma che in passato passò quasi inosservato (incredibilmente nessuna nomination per il film e per l'attore), il Duca domina un personaggio difficile e firma la sua migliore prova di sempre, nell’immaginario dell’appassionato resteranno per sempre indelebili le immagini di Ethan davanti alla fattoria in fiamme (la disperazione, l’odio), il modo in cui guarda la ragazza bianca rapita dagli indiani (ribrezzo e paura), la sua camminata decisa ma segnata nello struggente finale.
La grandezza di John Wayne era la grandezza della Monument Valley, nessun altro prima e dopo di lui ha saputo reggere un confronto così impegnativo.
Capolavoro della storia del cinema Sentieri Selvaggi è un film semplicemente eterno, il cinema western di John Ford si lega naturalmente alla grandiosità degli spazi, alla potenza visiva di scenari naturali talmente maestosi da sembrare innaturali , inutile spendere altre parole, l’esperienza deve essere vissuta in prima persona godendo delle meraviglie del VistaVision.
"Cera solo una porta, io rimasi all'esterno e loro entrarono...quando attraversarono
la porta e scomparvero nell'oscurità, lasciandomi solo, con il vento che soffiava,
pensai a Harry Carey.
Aveva l'abitudine di mettere la mano sinistra sul braccio destro, lo faceva continuamente.
Bene, quando ebbero accompagnato la ragazza oltre la macchina da presa...e Ollie [la moglie di Carey]
si girò verso di me, io assunsi quella posa.
Le lacrime iniziarono a scorrerle dagli occhi, fu uno dei momenti più commoventi
della mia vita e sono convinto che lo sia stato anche per lei"
John Wayne
Voto: 10
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