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Sentieri selvaggi

Regia di John Ford vedi scheda film

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La recensione su Sentieri selvaggi

di OGM
8 stelle

Il far west non è solo una regione ostile, ed una terra di conquista. È anche un orizzonte bello da guardare, ed un posto in cui tornare a casa. In questo film, le sterminate praterie americane sono ancora il teatro di crude battaglie tra indiani e cowboy, eppure in quei luoghi selvaggi cominciano a farsi strada i primi lembi della civiltà. Soprattutto, inizia ad insediarsi un primo senso della famiglia, del bene privato da proteggere contro gli attacchi esterni: una visione che, a dire il vero, inverte gli effettivi ruoli di invasori ed invasi. Inoltre sembra far riferimento ad un’identità culturale fittizia, priva di radici storiche, qual è quella del melting pot statunitense. Eppure è proprio in questo stare insieme senza dar vita a una nazione che si definisce il significato di quel we, di quella prima persona plurale che ricorre in tutti i proclami più importanti, dalla Dichiarazione di Indipendenza al motto stampato sui dollari: un’appartenenza che nasce dall’unità nella diversità, e non viceversa.  Un amalgama eterogeneo che, in quanto tale, ha da sempre bisogno di un nemico che faccia da collante, un termine di paragone rispetto a cui definirsi per contrasto. L’universalità dei valori, che questo film traduce nella vastità dei paesaggi, egualmente divisi tra terra e cielo, è, nella tradizione dei padri pellegrini, sempre centrata sul noi, su quei principi che, come le verità di fede, si vorrebbero estendere a tutti i popoli del mondo. Non si può non credere visceralmente, fino alla cecità, fino all’integralismo, in ciò che si è così faticosamente – e sanguinosamente - costruito dal nulla.  Sentieri selvaggi  propone, col linguaggio limpido ed elementare del cinema hollywoodiano, e senza usare mezzi termini, il contenuto di questa religiosità da pionieri, atavica e priva di morale umanitaria, come lo sono, del resto, tutti i culti primitivi.

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