Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Un dramma privato all’interno di un dramma storico che lo trascende: una nobildonna italiana si innamora follemente di un ufficiale austriaco, non vuole vedere che è un vigliacco e un approfittatore e per lui tradisce i propri ideali patriottici (incarnati dal banale eroismo del cugino); sullo sfondo ci sono gli avvenimenti del 1866, con gli austriaci che ottengono un’inutile vittoria a Custoza senza poter cambiare le sorti di una guerra decisa altrove. Un film fatto apposta per giustificare le peggiori accuse di calligrafismo: fotografia smagliante, una fascinosa Venezia notturna, scene di battaglia inquadrate come tableaux vivants, il melodramma che fa da nume tutelare ispirando linguaggio e comportamenti (leggi: recitazione enfatica). Sembra che Visconti faccia di tutto per soffocare le passioni sotto una coltre di letterarietà, ma per fortuna non ci riesce fino in fondo: nel crudele sottofinale la verità dei personaggi viene fuori in modo brutale, senza giri di parole (“Mi dici chi ti credi di essere? Hai una tale opinione di te stessa da non poter stare a tavola con una sgualdrina? Che differenza c’è tra voi due? Te lo dico io: lei è giovane e bella, e gli uomini per lei pagano, mentre tu invece...”). Quanto alle libertà della ricostruzione storica, mi piace riportare la divertente osservazione di Bianciardi in La vita agra: “la battaglia di Custoza fu chiamata così attorno al 1868, da uno storico militare di cui ora mi sfugge il nome; perciò Mahler, la sera della battaglia, e standosene a Verona, e ubriaco per giunta, e a letto con una donna, come faceva a sapere che c’era stata la battaglia di Custoza?”.
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