Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Un melodramma a parer mio insulso, privo di qualsiasi mordente, tranne nel dialogo finale in cui Franz ubriaco esprime un disprezzo improvviso, non motivato né preparato prima, verso di sé e verso Livia. Poiché è considerato un capolavoro, l'ho riguardato più volte, nonostante il fastidio estetico provato fin dalla prima volta; ma il fastidio aumenta ogni volta, ed è proprio estetico: una musica (di Bruckner) enfatica, usata nel più scalcinato criterio convenzionale di Holliwood del periodo, con esplosione "drammatica" quando Livia decide di tradire e di consegnare il denaro dei patrioti al nemico austriaco per corrompere i medici; una fotografia sciatta e inespressiva, pur nella consueta precisione di dettagli cara a Visconti; ma sono dettagli, non solo di gusto decadente (il gusto non si discute), ma inespressivi, inutili al racconto, che anzi ne viene disturbato, perché se ne cerca un senso che non hanno: p. es. il gioco di specchi (caro al decadentismo) nel palco, in cui si scambiano le posizioni relative dei due protagonisti, prima visti allo specchio e poi nella realtà; oppure la notte passata assieme nella villa di campagna, in cui il passare del tempo è banalmente indicato con il cambio di luce su un particolare di oggetti inutili sul tavolo; la celebre descrizione della battaglia è incoerente, caotica, con aggiunta di scenette folkloristiche gratuite, e resa con immagini piatte, che a me non ricordano affatto (se non per un confronto a loro danno) i quadri di Lega e Fattori (che peraltro non mi entusiasmano) e tanto meno le "soggettive" della Certosa di Parma, come vorrebbe Mereghetti; ben altra resa espressiva nella battaglia della guerra di secessione di Il bello, il brutto e il cattivo, di Leone; qui invece è tutto indifferente e tutto gratuito, non se ne vede alcun senso, neppure ai fini del racconto dato che nulla collega la sconfitta italiana con il tradimento di Livia. Le uniche prese di posizione, nette e sensate, contro le assurdità della guerra sono quelle di Franz, vigliacco e fatuo, avido e bugiardo, che prepara con questa ideale condanna della guerra il suggerimento a Livia di suggerirgli di marcar visita e di corrompere i medici, e quindi di darle l'enorme quantità di denaro necessaria per farlo.
Livia è presentata come "patriota" legata anche politicamente al cugino Ussoni, cospiratore contro l'Austria, ma è subito pronta a intercedere per lui proprio presso il suo avversario, e manco a dirlo subito dopo a innamorarsene. L'innamoramento è una cosa misteriosa e può accadere nelle circostanze più strane e verso le persone più abiette e più disprezzate o verso nemici; ma se questa passione deve essere al centro di un racconto mi sembra doveroso giustificarla in qualche modo, o comunque presentarla, nelle sue motivazioni o nella sua irrazionalità irresistibile, o comunque preferisca l'autore; questa invece è data per scontata, come nei peggiori melodrammi americani dell'epoca. Eppure viene proposta (e letta da molti critici) come una caratteristica decadente di una nobiltà ormai tagliata fuori, un secolo prima della realizzazione del film, dallo sviluppo storico; come se non fosse invece uno stereotipo della società consumistica americana contemporanea al film e tipica di altre classi tutt'altro che di sangue nobile, anche se viene sistematicamente attribuita ad ambienti ricchi o nobili, per completare il "sogno" evasivo di un pubblico culturalmente modesto.
Anche il racconto è incoerente. Potrebbe esserci una crisi interiore di Livia che, abbandonata nel modo più umiliante da Franz, ritrova il cugino che si fida di lei ed un marito che si dimostra innamorato e comprensivo, sia pure sbagliando a causa delle circostanze ingannevoli, che avevano ingannato anche lei: lei crede di andare ad un convegno con l'amante ritornato e invece si trova davanti al cugino, a sua volta rientrato per riprendere la lotta e fiducioso in lei al punto da affidarle il denaro dei cospiratori. Per questo scaccia insistentemente Franz che viene di nascosto a cercarla alla villa (di Aldeno?) dove si era ritirata, e cede lentamente alle sue nuove lusinghe; ma non c'è traccia di dramma precedente, di pentimento o conversione o decisione di riprendere l'attività patriottica; tutto è dato per scontato, accettato senza motivazioni. A sua volta la venuta di Franz non è spiegata: lui si dice venuto per amore, e chiaramente mente, senza alcuna passione neppure simulata, come non la simulava al primo incontro che ha suscitato la passione irresistibile di lei; ora Livia sospetta che lui sia venuto con un secondo scopo, e credo che ogni spettatore si immagini che il suo scopo sia quello di mungerle nuovo denaro.
Lui stesso alla fine dirà che vive sfruttando le amanti ricche, ma rimprovera a Livia di avergli dato il denaro per corrompere il medico e abbandonare il servizio militare evitando la guerra; eppure in quell'incontro tutto suggeriva che l'unico scopo della sua visita fosse proprio quello. Naturalmente si può anche supporre che Franz menta un'ultima volta nell'accusarla di averlo spinto a questa degradazione morale; ma è l'unico momento in cui Franz presenta vivacità e apparente sincerità, confessa tutta la propria immoralità e non si capisce perché debba mentire su questo punto centrale. E' questo il momento in sé più "sentito" del film (ma sconnesso e ingiustificato nel contesto della vicenda), se non altro perché ne costituisce l'acme melodrammatico, tanto caro al regista; in sé è anche l'unico momento sensato, in cui i due attori sanno come recitare e lo fanno finalmente in modo convincente: ci riesce perfino Farley Granger, fin qui spento nella parte insipida di Franz. Ma non si capisce neppure cosa spinga ora Franz a questa accusa e autoaccusa dopo che il suo comportamento è sempre stato coerentemente cinico, contrario alla guerra ed estraneo ad ogni valore e lealtà. Inoltre, dopo tutta l'indifferenza sempre mostrata per Livia, che lasciava senza lasciarle detto nulla, non si capirebbe proprio perché debba scriverle ora per raccontarle di aver corrotto il medico e per darle il proprio indirizzo raccomandandole di non venire a trovarlo; ma l'indirizzo consente a lei appunto di venire a trovarlo per il finale melodrammatico, e la lettera per denunciarlo alle autorità austriache per un bel finale in inclusione con la scena iniziale del Trovatore di Verdi al teatro La Fenice; dove i due si erano conosciuti con uno scambio di banalità sul teatro ma con una frase facilmente adottabile ad epigramma del film: alla domanda se le piace il melodramma, Livia risponde che non le piace quando si svolge fuori scena… cioè nella vita reale; ma la sua vita, così intensamente melodrammatica, è reale o solo svolta in un film di Visconti? (è l'unica strada che vedo aperta per cercare un senso al film; ma un senso artificioso e intellettuale, che non lo rende meno brutto) La frase di Livia doveva alludere al duello previsto (e che lei vorrebbe evitare) fra suo cugino e il tenente; e questo la tranquillizza subito dicendo che si guarda bene dal correre il rischio perché l'altro sarà arrestato; il che, detto da un ufficiale rispetto ad un borghese e dopo che la sfida era nata proprio da una sua frase insultante sulla vigliaccheria degli italiani era già una etichetta evidente di vigliaccheria sua; poiché nulla suggerisce di estenderla agli altri austriaci, questa serve solo ad accentuare lo sproposito e l'insensatezza dell'improvviso e immotivato innamoramento di Livia per lui. Del tutto ingiustificato.
O meglio, credo che si possa capire perché Visconti ha descritto tutto a questo modo. Dopo aver studiato a lungo il film e le possibili spiegazioni, cosa che ho fatto solo a causa della celebrità del film e del regista, perché altrimenti non l'avrei degnato di alcuna attenzione né lo avrei rivisto, sono arrivato a qualche ipotesi, con l'aiuto e poi con la conferma da parte di Irene, che a sua volta si irritava affermando che nessuna donna si comporterebbe a quel modo e accetterebbe simili mortificazioni. Il comportamento di Franz negli incontri con Livia sembra sottilmente omosessuale; nulla di esplicito, tutt'altro: c'è da pensare che l'attore lo sia veramente ma che non abbia nessuna intenzione di mostrarlo; del resto, il soggetto non lo prevede; ma solo un omosessuale può avere un comportamento così lontano da qualsiasi desiderio di sedurre una donna: nulla nel suo comportamento spiega che lei possa innamorarsene; il dialogo è di una banalità estrema; qualunque imbranato, e tanto più un conclamato dongiovanni come viene presentato Franz, tanto più se cinicamente ingannevole, saprebbe dire qualcosa di più avvincente e sorridere almeno in modo più accattivante. Ma un omosessuale, soprattutto a quel tempo, non poteva proporre esplicitamente il tema omosessuale sullo schermo, sapeva di essere comunque considerato un abietto dalla morale corrente, ed era perciò abituato alle umiliazioni, per quanto riguarda le sue passioni amorose, assai più di qualsiasi prostituta o di qualsiasi innamorato eterosessuale, sia maschio sia femmina: Livia sembra l'immagine (inconsapevole?) del regista, che descrive in lei le proprie umiliazioni amorose. Credo, almeno a giudicare da recenti film sull'argomento, che ricchi omosessuali si pieghino ad ogni umiliazione nei confronti dei loro giovani amanti, spesso disposti all'omosessualità per far carriera o per necessità economiche, ma senza alcun affetto, né stima, per chi fornisce loro agi e ricchezze a prezzo di questa umiliazione radicale; e quando si accorgono di aver avvinto nella passione il loro datore di lavoro, possono manifestargli tutto il loro disprezzo e la loro rabbia per essere stati da lui convinti a tale degradazione. Visconti forse non si propone la descrizione della decadenza della nobiltà, bensì una amara denuncia delle mortificazioni di un ricco omosessuale.
Questo spiegherebbe molte ambiguità di molti film di Visconti come di Pasolini e di altri; ma Pasolini ha di solito una fotografia molto bella, un racconto più coerente, una frequente poesia, che qui non esiste. Anche l'accusa di Franz a Livia, di essere "vecchia" mentre lui è giovane, non ha alcuna giustificazione, né cronologica (peraltro poco importante; ma lui aveva 29 anni, lei 33: non tanti da giustificare simili dichiarazioni), né cinematografica, dato che entrambi appaiono giovani, e lei comunque appare di gran lunga più bella e seducente di lui, presentato come un quacquaracquà insignificante, un Rock Hudson spento. Ma anche questo potrebbe essere voluto, se Livia è presa come specchio deformante di un regista ridotto a comperare e supplicare amanti giovani che lo disprezzano e lo accusano di essere vecchio e sgradevole.
Queste considerazioni possono spiegare psicologicamente la nascita del film, possono renderlo umanamente più patetico, ma non lo rendono "bello"; del resto non mi risulta che sia apprezzato per questi motivi né che sia interpretato in questo senso dai suoi elogiatori. Comunque, fatte queste ipotesi durante l'ultima visione, forse ne farò un'altra per cercare di "goderlo" in questa chiave, ammesso che la cosa sia possibile...
L'ho di nuovo registrato e rivisto, a distanza di anni, con Bibi; anche a lei non è piaciuto, e io confermo l'ultimo dubbio espresso, con il conforto di una dichiarazione di Visconti che leggo solo ora (da Di Giammatteo): "forse tutti i miei film ne nascondono uno solo; il mio vero film, quello che non ho mai realizzato, è la storia dei Visconti di ieri e di oggi".
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