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Senso

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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La recensione su Senso

di Antisistema
10 stelle

"Noi restiamo abbracciati e non ci curiamo di niente, né di paradiso né di inferno” (Heine).

Il fallimento commerciale e le critiche rivolte a “Bellissima” (1951), fanno recedere Luchino Visconti dalla carriera di regista cinematografico nuovamente, ritornando al suo primo amore; il teatro.
La rappresentazione tramite la sua regia teatrale; la “Locandiera” di Goldoni e delle “Tre Sorelle” di Cechov, consente a Visconti di sperimentare nuove soluzioni di messa in scena, andando oltre il manierismo dei precedenti allestimenti, a favore della ricerca di un realismo crudo e fortemente introspettivo, lontano dal trittico neorealista d’esordio.
“Senso” (1954), tratto dall’omonimo racconto epistolare ottocentesco di Boito - di cui si hanno reminiscenze nella voce narrante della protagonista -, segna l’approdo di Visconti al melodramma, abbandonando del tutto la precedente fase artistica, di cui si trova qualche scoria rimanente, nell’uso del dialetto “veneto” da parte dei personaggi di bassa estrazione, ma sono meno che pedine sullo sfondo della “Terza Guerra d’Indipendenza” (1866); così come lo sono i due protagonisti Livia Serpieri (Alida Valli) e Franz Mahler (Farley Granger), sconfitti dall’intercedere della “Storia”.
La critica moderna ha fatto propria la definizione di Guido Aristarco, che difese strenuamente il film alla mostra di Venezia, definendolo il risultato della transizione del regista dal mostrare la realtà (neorealismo), ad un’interpretazione critica di essa (realismo). Posto che non si vuole smentire il prestigioso critico, a cui va dato il merito di aver difeso un’opera di tale portata, dai tanti (troppi) strali negativi dell’epoca, si deve segnalare come tale lettura risulti un po’ troppo semplicistica, in quanto Visconti recupera il senso del melodramma proprio dell’arte e della tradizione cinematografica italiana dei primi due decenni - posto che tale elemento era ben presente nei tre film iniziali, ma evidentemente fu ignorato dai risvolti “civili” e “popolani” presenti in esse -, fondendolo con un grande affresco storico ed unendolo ai toni dell’opera lirica. La sequenza di apertura funge da dichiarazione d’intenti.
Nel teatro la “Fenice” di Venezia, si tiene la rappresentazione del “Trovatore” di “Giuseppe Verdi”, visto da una sala gremita di soldati austriaci nelle prime file e gli spettatori italiani - per lo più l’alta aristocrazia della città - nel loggione. La visione della realtà, non può che scaturire quindi dal palcoscenico.
Infatti la miccia scatenante parte da un brano cantato in scena, in cui incita gli uomini ad imbracciare le armi, facendo infervorare gli animi degli irredentisti presenti, solerti nel lanciare volantini, gridando all’unità d’Italia e contro l’occupazione straniera.
La contessa Livia Serpieri è una fervente patriota italiana, sposata suo malgrado con un uomo più anziano di lei e soprattutto alieno da ogni slancio unitario, in quanto connivente alle autorità austriache. Non è una persona negativa, ma il suo matrimonio con la contessa, risulta una mera facciata, perché in privato non dormono neanche nello stesso letto.

Il vero legame di Livia inizialmente è con il cugino Roberto Ussoni (Massimo Girotti), che rappresenta la passione politica a favore dell’unificazione del Veneto con l’Italia.

 

Alida Valli

Senso (1954): Alida Valli


Visconti costruisce il film sulla base di due coordinate. La prima deriva dagli influssi del maestro Jean Renoir, in merito alla realtà come prolungamento del palcoscenico teatrale, che se inizialmente viene respinta da Livia in quanto non vuol fare della sua esistenza un melodramma, vi casca in pieno facendosi travolgere dalla passione per il giovane tenente austriaco Franz Mahler, presso il quale era intervenuta per ottenere la revoca dell’esilio comminato al cugino, a causa di un alterco avuto con lui.  
Il gusto della teatralità melodrammatica, s’impadronisce nell’allestimento delle scene degli interni di villa Serpieri, tramite un marcato gusto verso il preziosismo degli arredamenti, suppellettili ed decorazioni ed oggetti vari, ritraendo un perfetto spaccato non solo storico, ma anche sociale dell’aristocrazia, alla quale seppur non vi fu mai in sintonia per visioni differenti, comunque la conosceva bene date le sue origini nobili.
La stessa città di Venezia, mai così seducente nella sua prossima decadenza, tramite i suoi ponti, palazzi, e piazze, funge a tutti gli effetti da scenografia a cielo aperto, dove lungo le calli, passeggiano per tutta la notte Livia e Franz, scambiandosi le reciproche posizioni in fatto di estetica, ideologia e poetica.
I dialoghi fortemente letterari, risultano pregni di una marcata valenza melodrammatica accentuata dalla visione individualista del tenente austriaco ispirata dai versi di Heine.

Il melò viene moltiplicato nelle notti di passioni, alle quali Livia cede ripetutamente, assaporando "l'ora" presente, pur ripromettendosi per il "domani" di troncare la relazione, perdendo la testa per quello straniero da lei odiato fino ad un attimo prima. Incurante di essere sempre più scoperta, sempre più sfacciata, sempre più diretta.

Livia perde a lungo andare ogni connotato di originalità datele dal suo ardore patriottico, divenendo una dama aristocratica come altre, intenta a trastullarsi con un amante più giovane, celando il viso dietro il velo per non farsi riconoscere nelle proprie scappatelle.
Il tradimento di Livia verso il marito - che a lungo andare si eclissa sempre più in quanto non importante per la contessa -, diventa in realtà il tradimento nei confronti dei suoi compatrioti, il cugino e l’Italia, per la quale alla “Fenice” aveva espresso eterno amore.

Lo stesso accompagnamento musicale “Sinfonia n.7 in Mi Maggiore” di Bruckner, fa da contrappunto ai conflitti interiori dei personaggi, scaturiti da passioni confliggenti tra loro, segnando i climax emotivi della narrazione e le svolte cardini.
Riannodando i fili alla scena iniziale a teatro, Visconti posiziona il primo di numerosi specchi disseminati lungo la narrazione, introducendo il tema della doppiezza dei personaggi. Il riflesso del vetro che dovrebbe restituire un’immagine di assoluta imparzialità (“mi piace guardarmi per essere sicuro che sono io” dice Franz), alla fine non riflette il vero essere di Livia e Franz. Figure pennellate secondo lo stile visivo di un cineasta, che non riduce il proprio cinema a derivazione operistica, ma costruisce una serie di dotti riferimenti pittorici, che spaziano da Hayez (Il Bacio”) a Goya (Le Fucilazioni), sino al sottovalutato Fattori, caposcuola del movimento dei Macchiaioli, da cui trae ispirazione nella raffigurazione della battaglia di Custoza, dando preminenza all’impressione di confusione nei movimenti delle truppe italiane, sconfitte per l’incapacità dei due generali (La Marmora e Cialdini), di predisporre un piano comune (una delle poche battaglie nella storia militare in cui il vincitore ha più del doppio delle perdite della parte sconfitta).

Farley Granger, Alida Valli

Senso (1954): Farley Granger, Alida Valli


Visconti si avvale dell’ottima interpretazione di Farely Granger, capace di donare una decisa impronta drammatica al proprio mellifluo personaggio (soprattutto nell’invettiva finale contro Livia), mentre Alida Valli, mai così bella, sfaccettata e complessa, si conferma la più grande attrice italiana di sempre, tramite una prova recitativa, all’insegna di una sofferta quanto dolente tragicità mano a mano che sprofonda nel degradante abisso del tradimento.
“Senso”, parte dalla cieca passione travolgente di Livia per Franz, giungendo a considerazioni in merito all’ineluttabilità della decadenza della classe aristocratica innanzi al nuovo in quanto incapace di rinnovarsi, la sconfitta del vecchio ordine innanzi ai nuovi tempi e l’impossibilità di poter veder nascere un qualcosa di positivo, su un sentimento basato sull’a-moralità e tradimento di tutte le sue premesse. Livia Serpieri risulta la rappresentazione più fulgida sulle basi su cui è nata l’Italia; bieco individualismo, il sé davanti all’interesse generale, nessuna considerazione verso le classi popolari ed il tradimento dei valori di una vita seguendo gli umori e le passioni del momento. Sarà la totale rovina di entrambi e dei compatrioti italiani, che facevano affidamento sul denaro custodito dalla donna.

Una cupa tragedia di Eros e Thanatos, vissuta da Livia in modo scientemente cieco, per assecondare i propri sentimenti, costruendosi un’idea di Franz senza riscontro reale. Il risultato non può che portare ad una umiliante autodistruzione per entrambi, e di conseguenza dell’Italia intera, uscita sconfitta dalle battaglie condotte della classe “istituzionale-militare” a Custoza e Lissa, quanto vincente a Bezzecca grazie ai mal tollerati volontari di Garibaldi.
Attraverso “Senso”, si porta in scena per la prima volta al grande pubblico le nascenti tesi, sino ad allora confinate al mondo accademico, in merito alla visione del Risorgimento come “rivoluzione mancata”, frutto di un processo voluto dall’alto, distante dalle aspirazioni della gran parte del paese, tenuto al di fuori del processo unitario. Escluso per opera di quella classe aristocratica, della quale Livia Serpieri risulta perfetta espressione del tradimento consumato.

Sulla componente politica, Visconti ritornerà successivamente tramite il “Gattopardo” (1963), ma già in “Senso”, il suo cinema si dimostra fortemente attuale. Lontano dalla mera calligrafia scenografica, dentro la quale lo si voleva imprigionare. Tale scandalosa novità verrà severamente rifiutata dal potere politico dell’epoca, che imporrà un nuovo finale oltre numerosi tagli riguardanti la battaglia e la componente politica del film, dietro il paravento del presunto “vilipendio nei confronti dell’esercito”. Non sono mancate considerazioni negative della censura, contro l’esibita relazione adultera di un’italiana verso uno straniero e la festa finale in cui molte donne di Verona si sollazzano con i soldati austriaci vittoriosi.
Tutte queste polemiche, accompagnatasi lungo i 9 mesi travagliati di produzione, culminarono con lo sfregio al festival di Venezia, al termine del quale nessun premio venne assegnato alla pellicola, con un ulteriore stuolo di critiche.

Ma spesso gli italiani, si dimostrano più avanti rispetto alla classe istituzionale, dando a “Senso” la sua rivincita ai botteghini, con l’ottavo incasso dell’anno, dando la consolazione a Visconti del tanto agognato incasso, dopo i tre flop precedenti.

Alida Valli, Farley Granger

Senso (1954): Alida Valli, Farley Granger


Film aggiunto alla playlist dei capolavori: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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