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Senso

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Senso

di marco bi
10 stelle

Melodramma lirico senza essere cantato - la storia potrebbe benissimo essere la partitura di un’opera - ma ottimamente dialogato, a noi estimatori (è tra 100 film italiani da salvare) piace per la bellezza estetica che lascia stupefatti, per la grandiosità e la sfarzosità delle ambientazioni, delle ricostruzioni, della messa in scena.

 

 

- MALEDETTO TI AMERO’ - Sontuoso film d’amore e morte SENSO è uno dei migliori di Luchino Visconti insieme a OSSESSIONE, BELLISSIMA e ROCCO E I SUOI FRATELLI, senza nulla togliere a LA TERRA TREMA, IL GATTOPARDO, MORTE A VENEZIA. Ma già quando nel 1954 fu proiettato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia - città nella quale è stato anche splendidamente ambientato - ebbe estimatori e detrattori e sembra che non vinse alcun premio per la determinazione dei ‘poteri forti’ che arrivarono a corrompere i giurati.

 

Melodramma lirico senza essere cantato (la storia potrebbe benissimo essere la partitura di un’opera) ma ottimamente dialogato, a noi estimatori (è tra 100 film italiani da salvare) piace per la bellezza estetica che lascia stupefatti, per la grandiosità e la sfarzosità delle ambientazioni, delle ricostruzioni, della messa in scena che tra Venezia, Verona, Vicenza e Roma (la fucilazione fu girata a Castel S. Angelo) impiegò tante maestranze e richiese un grande sforzo produttivo insolito per un film italiano in quegli anni. Piace per le suggestioni pittoriche (i Macchiaioli, Goya, Fattori e il bacio di Hayez), per i tanti splendidi costumi (Piero Tosi), per la fotografia (G.R. Aldo e Robert Krasker) in sfavillante Technicolor che, variando la luminosità e i colori, insieme alla splendida musica sinfonica (Bruckner, Verdi) che aumenta o diminuisce di volume, amplifica l’importanza di ciò che accade.

 

 

Ai detrattori dell’epoca non piacque la viscerale, discutibile, rilettura degli avvenimenti storici non condivisa da politici e intellettuali che chiesero e ottennero diversi tagli e rifacimenti sia in fase di scrittura della sceneggiatura - a cura di Visconti, Suso Cecchi d’Amico, Giorgio Bassani, Tennessee Williams per la versione inglese e Jean Renoir supervisore di quella francese - basata sull’ omonima novella di Camillo Boito, riscritta più volte cambiando anche il titolo (Custosa, I vinti, Uragano d’estate), sia sulla pellicola dopo la prima veneziana. Non piacque il torbido, abietto, amore adultero tra la contessa sposata Livia Serpieri (Alida Valli mai più stata così brava) e il vile cupidigioso ufficiale austriaco Franz Mahler (Farley Granger). Non piacquero i nobili ancora fedeli all’Impero asburgico e le donne veronesi festose con i soldati austriaci. Al Ministero della Difesa non piacquero le, peraltro impegnative e ricercate, scene di battaglia considerate disfattistiche. Infine non piacque che dal ‘neorealismo’ si passò al ‘realismo’.

 

Tra i tanti allievi che sono ‘cresciuti’ lavorando in questo film d’ ineguagliata perfezione tecnica ricordo Rosi e Zeffirelli (aiuto registi), Rotunno (cameraman) e il doppiatore Enrico Maria Salerno.

 

1866. La contessa Livia Serpieri durante la rappresentazione de IL TROVATORE alla Fenice di Venezia, conosce il Tenente austriaco Franz Mahler che è stato sfidato a duello dal suo ribelle cugino il conte Ussoni (Massimo Girotti). Dopo una lunga passeggiata notturna per le calli veneziane Livia s’innamora e accetta d’incontrare Franz clandestinamente in camere d’albergo e per amore scende tutti i gradini che conducono all’inferno arrivando a dare al suo vile amante, per essere riformato, l’oro destinato ai rivoltosi che lui usa in maniera dissoluta ubriacandosi, giocando, andando con prostitute e invece di ringraziarla la umilia dicendole che è un ladro, uno spione e che non l’ha mai amata ma si è servito di lei. Livia impazzita dal dolore si vendica denunciandolo agli austriaci e Franz viene fucilato.

 

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