Regia di Joss Whedon vedi scheda film
Fenomeno Marvel.
Forse il chiedersi perché la gente vada ancora a vedere il copia/incolla di film che ha già visto ma di cui non si stanca è una domanda prolissa, ma non per questo poco interessante. Si riconferma infatti con The Avengers: Age of Ultron l'idea che l'abitudine vince sempre, al cinema, più di qualsiasi novità e a prescindere da qualsiasi nuovo tentativo registico di realizzare intrattenimento. Perché sì, per fare intrattenimento, e per farne di alto e importante, ma comunque divertente e appannaggio di chiunque, ci vuole abilità, ci vuole consapevolezza estetica, ci vuole un brio e un'attenzione che troppi pochi, tra i film della Marvel, hanno avuto in questo nuovo millennio cinematografico massacrato da non si sa più quante pellicole fatte con lo stampino. Joss Whedon di tutti questi pregi non ne ha nemmeno uno, e biascica e balbetta con la sua macchina da presa (non più di quanto facessero Anthony e Joe Russo, Alan Taylor, Jon Favreau, lo stesso Kenneth Branagh) attratto dalla "nuova frontiera" dell'intrattenimento, o dagli incassi che ne conseguono. Non si fa fatica a comprendere come gli appassionati di fumetti possano appassionarsi allo stesso modo per i film che da quei fumetti sono tratti, un po' per affezione ai personaggi, un po' per i continui riferimenti e ammiccamenti che i film stessi annunciano sottopelle. Quello della Marvel è un universo gigantesco che sicuramente è adattissimo alla carta stampata. Il problema sta però nell'adattamento cinematografico, che per sua natura non può farsi portavoce di una serialità così vasta qual è quella dei fumetti originari. E lo stupore è per quanti riescano comunque a farsi intrattenere nonostante questi riferimenti non li possano cogliere, né possano godere di un collegamento organico e fluido tra le pellicole (vista la frammentarietà e la sciatteria con cui sta venendo realizzata questa saga, e la confusione che ne deriva a livello narrativo).
Ancora più stupore provoca invece venire effettivamente a conoscenza della storia che fa da fil rouge a tutti questi prodotti filmici prefabbricati, e capire che quei frammenti di trama messi nei singoli film in realtà sono esilissimi pretesti che avrebbero potuto approfondirsi e complicarsi anche nei scarnitissimi venti minuti di una puntata televisiva. Si pensi a Captain America: The Winter Soldier, che sciorina una brutta copia dello spionaggio al cinema con la storia dello smantellamento dello S.H.I.E.L.D.; ma si pensi anche al terzo Iron Man, che vuole cominciare a insinuare dubbi sulla moralità/sanità di Tony Stark. Tutti questi frammenti di puzzle non sono così ben amalgamati nei momenti della verità (i film degli Avengers), e l'assemblamento di quanto già detto mille volte (tutta la storia ruota poi attorno ai poteri di sei gemme dell'infinito: vista la ricerca di una hai visto la ricerca di tutte) può al massimo entusiasmare il bambino che fa incontrare i pupazzi con cui gioca e che nella sua fantasia fa interagire come fossero amici di vecchia data, ma non può davvero intrattenere lo spettatore medio, a meno che non si accetti come presupposto l'idea che farsi assuefare dall'abitudine e dal già visto sia un modo corretto e nobile di impiegare due ore e mezza della propria vita. Già il fatto di non annoiarsi non è sinonimo di aver visto un bel film, poi se ci si annoia pure, tra tonfi di sceneggiatura e ridondanze visive..
C'è poi il problema delle pretese, nei film della Marvel. Perché non dare a tutte le pellicole il tono giocoso di uno dei loro pochi film riusciti, Guardians of the Galaxy? Perché infarcirli invece di questa seriosità che vorrebbe farsi metafora dei mali umani e dei limiti di cui gli uomini sono vittime? C'è chi dice che con un film degli Avengers possa staccarsi il cervello, ma considerando che dei brividi per la spettacolarità delle scene non si vedono neanche le ombre, giunge giustificata la voglia di scoprire di più su ciò che c'è dietro questo marchio Marvel, e capire quali sono i motori sotterranei della storia. Le motivazioni per cui si arrivano a fare sette, otto film di un'intera saga (e siamo condannati fino al 2019) non possono essere motivazioni di piccolo spessore (o almeno, non possono esserlo nelle intenzioni: nei fatti, basta vedere i film). Dunque alla fine capire cosa, in fatto di trama, hanno realizzato per gli adattamenti cinematografici, è il fattore ultimo che fa intuire lo spessore effettivo di tutto questo circo di baracconate.
Sarà facile difendere The Avengers: Age of Ultron dicendo che adesso i personaggi sono presentati meglio (e per fortuna, dopo tutti questi film!), e che gli effetti speciali sono più ben fatti (la prima sequenza però anche in questo campo è imbarazzante: il resto è ordinaria amministrazione), e sarà anche una facile scappatoia pensare a ciò che muove la trama di questo film(etto) e trovarlo affascinante e superbo (Tony Stark con l'invenzione dell'intelligenza artificiale Ultron). Non è poi così facile giustificare però la lunghezza, la ripetizione, gli snodi narrativi farragginosi e concentrati, le allungatissime e per nulla epiche scene di azione. Ormai il vero motivo per cui si può andare a vedere un film del genere, per chi voglia sanamente diversi, è cercare quei prodotti che con lo spregio del buon gusto vomitano addosso allo spettatore effetti speciali esagitati senza proporre più pretese del lecito (Jupiter, giustamente massacrato magari, ma senza la pesantezza di fondo dei prodotti Marvel), arrivando anche a nuove frontiere dell'estetica blockbuster (neanche questo però è riuscito a rendere interessante Transformers 4: The Age of Extinction). Sovviene però un'altra domanda che forse è un po' chiave di lettura della sconcertante vacuità di tutto quello che vediamo in queste occasioni sui grandi schermi: queste pellicole sono davvero espressione del più forte intrattenimento della generazione 2000? Rimarranno negli annali come gli Star Wars, gli Indiana Jones, i Back to the Future? O verranno com'è giusto dimenticati, visto anche che soddisfano le voglie immediate e sempre uguali della massa senza un briciolo di lungimiranza (che non sia il trucchetto irritante del cliffhanger)? Ce l'ha detto anche Birdman di Inarritu, che ormai il cinema è la logorrea di ciò che si vede e si può vedere (la corsa a perdifiato verso l'esperibilità, la perdita del fascino del non-visto e del fuori-campo), e se questa logorrea (per non dire la cacofonica parola che fa rima) prosegue ancora con tale piattezza e ostentazione (gli annunci delle prossime uscite hanno l'aspetto di un sentiero verso il patibolo), resteremo tutti letalmente afoni, o, visto che parliamo di cinema, ciechi.
P.S. Riuscire a rendere inutile Scarlett Johansson è un'impresa non da poco: complimenti.
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