Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
“Trash” è il classico film che non ti aspetti. Mi ha colpito per la sua profondità, per la sua crudeltà e schiettezza. Il regista non usa mezzi termini nel rappresentarci la difficile situazione delle favelas brasiliane. Dove tre ragazzi (Gardo, Rafael e Rato) scoprendo un portafoglio mentre lavoravano in discarica hanno la possibilità di cambiare la loro vita, la loro storia, la loro condizione, investendoli e diventando ricchi. Invece, si adoperano affinché venga fatta giustizia. Ritengo che in una recensione la trama debba essere presentata in maniera semplice per lasciare al lettore la curiosità, che lo porta a vedere il film, e, quindi, il compito di ampliarla, ritoccarla e farla diventare propria. Perché, in fondo, ogni film può essere visto sotto differenti punti di vista. Il cinema nasce per dare la possibilità di apprezzare un capolavoro imparando nuovi valori e nuovi insegnamenti.
Con questa premessa mi accingo ad analizzarlo a mio modo, che stavolta sarà inevitabilmente influenzato dal mio Credo religioso. In “Trash” il regista sembra far prevalere la logica del puzzle: il film propone, nel corso della narrazione, brevi sequenze, dislocate nel tempo e nello spazio, che, se da un lato consentono sempre allo spettatore di comprenderne la logica interna, dall’altra non lo portano a collocarle immediatamente nel disegno generale. La globalità dell’intreccio, infatti, emerge molto lentamente nel corso dell’intera opera (all’inizio i commenti dei tre ragazzi che bloccavano il susseguirsi degli eventi creava confusione, nel corso dell’opera hanno acquisito un significato) e consente allo spettatore di collocare man mano le tessere nei punti giusti, per ottenere, solo alla fine, il mosaico completo. L’unica critica che mi permetto di sollevare è riguardo alla sceneggiatura, a tratti scadente: Che fine farà lo zio incarcerato di Angel? Cosa succede ad Olivia dopo essere stata imprigionata? Come può essere in grado la polizia di individuare sempre in modo esatto tre ragazzini che scappano tra le affollatissime e sovrappopolate favelas di una metropoli dove perdersi è più facile che trovarsi? Tali lacune appaiono molto gravi dal punto di vista tecnico e, a tratti, scenografico, eppure il grande insegnamento morale (sia che lo si voglia analizzare dal punto di vista religioso sia da un punto di vista laico) che sorregge questo film elevandolo sopra di ogni aspettativa, o almeno, al di sopra delle mie aspettative, riscatta il non brillante lavoro tecnico.
Tuttavia, il film gioca su brevi sequenze e immagini che messe a confronto permettono subito di capire le contrapposizioni e i paradossi della civiltà umana attorno a cui ruota: Vari sono i momenti in cui la regia, con ripetuti e ravvicinati salti fotografici contrappone dapprima, la povertà delle favelas alla ricchezza e alla società corrotta; poi, il male - ad esempio rappresentato dal capo della polizia in macchina - al bene che sembra soccombere alla crudeltà di quest’ultimo -Gardo quando si trova in ginocchio sullo spiazzato… - aggravata della loro situazione già precaria e difficile, rappresentata da vivide ed eloquenti immagini, le quali arrivano anche a mostrare in modo crudo i maltrattamenti della polizia. Quelli che dovrebbero essere i giusti diventano gli antagonisti. Gli eroi sono i tre ragazzi nelle favelas gestite da un sacerdote, Padre Julliard (Martin Sheen), che crede di insegnare e difendere i propri ragazzi ma alla fine sono proprio loro tre a impartire il senso di giustizia, di moralità e la forza che la fede può dare (“Abbi fede, giusto un po’ di fede smuove le montagne), prima a lui, poi a tutti noi: La coscienza è sopra ad ogni legge e questa risponde al senso di giustizia di ogni uomo, e tutto ciò ha come motore la Fede. E’ il trinomio inscindibile sul quale si basa il film, la felicità e la nostra vita. Padre Julliard, infatti, si mostra attaccato ai piaceri mondani, ovvero ai soldi, al bere, al benestare, incapace di prendersi totalmente le proprie responsabilità e di assumersi il rischio di fare chiarezza su una vicenda che chiede, come lui stesso sa, giustizia. Emblematica la frase, dopo essere tornato dal comando di polizia, “sono già morti” in riferimento alla cattura di Rafael e Rato. Proprio colui che dovrebbe aiutarli e dovrebbe farsi portavoce di giustizia e di Dio, si arrende di fronte al male e alla corruzione della polizia, che crede insormontabile; loro, viceversa, ci credono perché mossi dal suddetto trinomio, mossi dalla consapevolezza che hanno Dio (“Dio si è dimenticato di noi. Sei matto? Dio protegge i poveri!; “Sta bene adesso. E’ con Dio”) e che sono nel giusto (Padre Julliard si chiede “Perché hanno fatto tutto questo?”, Olivia risponde: “Hanno detto: perché era giusto!) e sanno bene che tali valori rendono l’uomo forte sopra ogni male.
Oltre a questi insegnamenti e a questi paradossi, Stephen Daldry impreziosisce la propria pellicola con richiami allegorici. Innanzitutto la loro Fede rappresenta tutto ciò che l’uomo necessità: La felicità che possiedono è sorprendente se pensiamo alla situazione iniziale, disperata, che poi sembra complicarsi ulteriormente; la determinazione che hanno nel perseguire la propria coscienza e il proprio senso di giustizia per un uomo che non conoscono e per “purificare” un mondo che neanche conoscono, quello politico e benestante. Qui, seppur azzardato, c’è un richiamo a Cristo che ha messo la propria vita e la propria esistenza per portare a compimento il disegno divino e quindi per “purificare”/salvare il mondo che sarà popolato da uomini che Cristo non conosce ancora direttamente, ma la Fede e il senso di giustizia gli permettono di sentirsi nel giusto. Di conseguenza viene spontaneamente l’ultimo elemento: La capacità di mettere in gioco tutto ciò che si ha, poco o grande che sia; Quindi la Fede è tutto, comprende tutto, è motore di tutto. Potete ben capire che una tale rilettura del film e anche della vita è una chiave di lettura molto forte e significativa. La discarica è, anch’esso, scenario effettivo e simbolico, dove spazzatura è anche questa infanzia reietta, considerata insignificante e che può essere eliminata senza indugi; ma è spazzatura anche il potere, il malaffare e, in una sintesi efficace - che chiude la storia e trae conclusioni morali - lo è il denaro. La conclusione a questo mio percorso è densa e profonda anche se durante il film lo scontro tra bene e male tra giusto e sbagliato e quindi tra i ragazzi e la polizia può apparire banale e semplicistico. Ma, proprio qui sta il grande capolavoro: Come può qualcosa di “banale e semplicistico” riservare un così grande insegnamento come quello sopracitato? Come può un film cosi superficiale attirare l’attenzione, l’adrenalina e la sensibilità dello spettatore? Ecco allora il rapporto tra illusioni effimere e realtà. I soldi sono un’illusione della felicità - quindi sono davvero la discarica -, la realtà di essa, della felicità, è rappresentata dalla Fede, dal senso di giustizia e dalla coscienza, elementi strettamente connessi. Il “semplice” scontro tra tre ragazzi e la polizia corrotta ricalca a tutti gli effetti lo scontro tra giustizia e ingiustizia. Passiamo da un microcosmo del mondo - tra ragazzi poveri delle lontane favelas -, al macrocosmo dell’universo - scontro tra giustizia e ingiustizia, attuale e presente in ogni dove e in ogni quando -.
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