Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GALA
TRASH è l'opera di un regista inglese molto amato negli States e dall'Acdemy: lo Stephen Daldry di Billy Elliott e The Hours, che si trasferisce nel Brasile di Rio e delle favelas per raccontarci l'odissea della sopravvivenza di tre ragazzini che lavorano come raccoglitori di plastica in una immensa discarica di rifiuti, dal momento che uno di loro trova per caso un portafogli con un bel po' di soldi, ma soprattutto con all'interno un piccolo particolare oggetto che diviene la cosa più ricercata in tutta la città: soprattutto dalla locale polizia, coinvolta in una squallida storia di corruzione che invischierebbe e comprometterebbe anche un noto e potente esponente politico in odore di elezioni.
Il film presenta un concitato incipit girato assai bene, con l'attore Wagner Moura (già visto in diverse occasioni, come in Tropa de Elite 1 e 2 e in Praia do Futuro) impegnato invano a salvarsi la vita ed occultare quel portafogli maledetto per il quale perderà la vita, ma riuscirà a tenerlo lontano da chi lo insegue. Poi man mano che la vicenda prosegue, il regista di Billy Elliott o ancor più gli sceneggiatori si appiattiscono su una vicenda che si colora di morale e buoni principi del tutto anacronistici e irritanti di fronte ad una popolazione che vive e sopravvive negli escrementi e nei rifiuti di chi è autosufficiente.
Temiamo il peggio e lo otteniamo non tanto nella figura dei due missionari americani (Martin Sheen e Rooney Mara, peraltro presenze scomode che sviliscono la serietà e la drammaticità autentica di una vicenda di morte e corruzione), quanto dalla cascata di denaro sporco che viene deliberatamente (ed anacronisticamente) gettata tra i rifiuti per essere divisa equamente tra le centinaia di spazzini dei rifiuti che raspano in quella accozzaglia maleodorante di “monnezza”.
Un finale lungo mezz'ora che rende buona parte dell'opera e dell'impegno un inutile e sprecato tentativo di costruire una storia che rimanesse attinente alla cruda realtà delle favelas, senza tanti americaneggiamenti inutili, capaci solo a rendere “potabile” una storia che nella sua crudezza verrebbe a trovarsi troppo poco commerciabile.
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