Le vie del successo soni infinite e imprevedibili. Ne sa qualcosa Ivano De Matteo, fino a qualche tempo fa desaparecidos del cinema italiano, a causa di un film - "La bella gente"- che mettendo a nudo l'iprocrisia del ceto modernista e radical chic gli aveva precluso l'accesso ai normali canali di distribuzione, e poi, grazie anche alla santificazione ricevuta per il torto subito, promosso a nuova visibilità grazie a un lungometraggio, "Gli equilibristi", che, attraverso una storia di disaffezione familiare esplorava nuove forme di precariato sociale. Questo per dire come a volte la promozione di un film e il suo appeal vengano condizionati da fattori difficilmente pronosticabili. Nel caso de "I nosti ragazzi", terzo film di De Matteo, a incidere in maniera negativa sugli esiti finali potrebbe essere stata la somiglianza con "Il capitale umano" di Daniele Virzì, con cui il film di De Matteo ha più di un punto in comune, a cominciare da una trama che utlizza lo stesso tipo di espediente - la notte brava dei figli dei protagonisti- per innescare la crisi di un gruppo umano apparentemente equlibrato. Accade infatti che due fratelli caratterialmente agli antipodi debbano decidere se denunciare o meno l'accaduto, testimoniando contro la loro stessa prole. Un dilemma tanto drammatico quanto esemplare nel mettere a nudo l'ipocrisia e le contraddizioni di un nucleo affettivo che il regista romano modula sugli umori diMassimo (Alessandro Gassman), avvocato spregiudicato e rampante, e di Paolo, pediatra altruista e riflessivo; modelli di riferimento di una borghesia (romana) allo stesso tempo conservatrice e progressista.
Meno strutturato e analitico del suo precursone, il film di De Matteo parte dalla stessa scommessa, e cioè di adottare il plot di un romanzo ("La cena" di Herman Koch) pensato per un contesto diverso da quello italiano, riscrivendolo con le caratteristiche tipiche del bel paese. Così facendo "I nostri ragazzi" si coloro di un'universalità, di parole e situazioni, che si addice all'eleganza della confezione e alla pulizia di recitazione degli attori (con la prova di Gassman a tenere alto il livelo della categoria rappresentata anche da Luigi Lo Cascio e Giovanna Mezzogiorno) ma che stridfe con la carica eversiva di un messaggio veicolato attraverso il sorprendente finale, che riporta Di Matteo alle atmosfere de "La bella gente"; conil tradimento morale e poi spirituale dei valori professati nella prima parte della vicenda, a ribadire uno sguardo profondamente pessimista sullo stato delle cose.
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