Regia di Isabel Coixet vedi scheda film
In tempi di cocenti delusioni ed enormi difficoltà, in età anagrafiche nelle quali è facile smarrirsi di fronte all’evento inatteso e nella dure condizioni d’integrazione, mostrare i problemi lasciando uno spiraglio di luce può apparire favolistico, come essere l’occasione per aprire varchi senza apporre eccessive illusioni.
La spagnola Isabel Coixet prova questa traccia senza forzare le soluzioni, facendo leva su un’accoppiata anomala senza costituire una coppia dichiarata, con due interpreti di caratura, capaci, e non serviva certo un oracolo per immaginarlo, di sottolineature distanti eppure, in qualche modo, combacianti.
Lasciata di punto in bianco dal marito, Wendy (Patricia Clarkson) si sente smarrita e, quasi per caso, decide di iscriversi a un corso per prendere la patente di guida. Così ha modo di conoscere approfonditamente l’istruttore indiano Darwan (Ben Kingsley), prodigo di consigli, non solo di guida.
Mentre Wendy prova a ricominciare daccapo, Darwan è alle prese con un matrimonio combinato, con una donna mai vista prima, seguendo le regole di un mondo lasciato forzatamente da tempo.
(vedi foto sopra: lo sguardo di Patricia Clarkson vale più di mille corsi di recitazione per come far trasparire uno stato d'animo)
Soprattutto arrivati a una certa età, quando tutto sembra crollare, bisogna ripartire per non finire alla deriva. Non è facile, ma bisogna trovare la forza. È l’unica possibilità. I più fortunati incappano nelle rare persone che amano ancora e che, nonostante tutto spinga verso la coltivazione della rabbia, scelgono scientemente di aiutare il prossimo, gratuitamente, senza secondi fini.
Così, in Guida per la felicità imparare a guidare diventa metafora di apprendere un nuovo modo di vivere, passo dopo passo, come nelle prime nozioni di guida, quando tutto appare difficile ma ci si abitua, con le lezioni che diventano occasioni per parlare di altro, direttamente o per interposti messaggi. D’altronde, è tutta questione di pratica, di assaggiare per capire in che direzione orientarsi.
Il film di Isabel Coixet è rasserenante, piuttosto elementare ma efficace per linguaggio, come nelle similitudini tra la strada e la vita, con una partitura fondata su due personaggi chiave, in un incontro tra mondi lontani che il fato ha messo in contatto.
Ritrovare la gentilezza - questa sconosciuta - è un dono gradito, ricordare quanto sia importante conservare, e farlo orgogliosamente, la propria identità culturale è un buon messaggio, un mini spot a favore di una società multietnica, spesso invisa e comunque non facile da costruire.
Queste caratteristiche vivono nei due significativi personaggi principali: lui invadente e di buon cuore, lei alle prese con un crocevia di cui avrebbe fatto volentieri a meno che, con tutti i distinguo del caso (e meno sovrascritture), ricorda il personaggio interpretato da Isabelle Huppert in Le cose che verranno.
I due costituiscono il perno sul quale agisce una leva che riesce a esprimersi chiaramente, nonostante alcuni aspetti siano poco più che abbozzati o solo introdotti e poi accantonati (come le discriminazioni), mentre nella seconda parte, ampliando alcuni orizzonti, precipita alcune soluzioni, perdendo un pizzico di orientamento ma non la serenità.
Da questo ritratto dall’aroma sincero, traspare la sensibilità di una regista, ma anche di una scrittrice (Katha Pollitt), di una produttrice (Dana Friedman) e una protagonista come Patricia Clarkson consapevole di come spegnere e ravvivare l’emotività. Nel mezzo di questo universo femminile, capeggia Ben Kingsley, un buon guru della porta accanto.
Grazie a un fruttifero gioco di squadra, a insegnamenti di vita poggiati su una storia congrua, Guida per la felicità va oltre i suoi appannamenti, sfiorando il cuore come una carezza sul volto, costeggiando l’approdo più stucchevole per poi prendere l’uscita più indicata.
D’animo generoso.
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