Regia di Ulrika Bengts vedi scheda film
Guardiano del faro. E padre padrone. Una sperduta isoletta svedese è il piccolo regno deserto in cui un despota in uniforme da marinaio esercita un’autorità brutale. È il capofamiglia che decide per tutti, fino alle questioni di vita o di morte. Il giovane Karl Berg non sa in quale pasticcio si stia cacciando, nel momento in cui sbarca in quel luogo, per compiere un apprendistato. Proviene da un orfanotrofio, e quella nuova assegnazione gli deve sembrare la conquista di una libertà inattesa, senza limiti, lontano dalle coercizioni e dalle violenze subite per anni da parte degli educatori. Lì scoprirà, invece, una sconosciuta e terribile forma di amore, che cura e protegge oltre ogni ragionevolezza, ma che, in cambio, esige la completa sottomissione. Karl deve diventare, per il capitano Vilhelm Hasselbond, il figlio che questi ha perduto per sempre, e che comunque non sarebbe mai stato come avrebbe voluto. Il ragazzo si renderà conto della situazione solo col tempo, mano a mano che vedrà il proprio ruolo crescere al di là delle aspettative, fino a risultare del tutto sproporzionato rispetto alle posizioni occupate dalla moglie e dagli altri due figli del suo maestro. Karl obbedisce, impara, si mostra abile, ed in questo modo si trasforma, da ospite indesiderato che era, ad incarnazione di un ideale che Vilhelm credeva ormai non più realizzabile. La miracolosa metamorfosi, che inizialmente sa di magia e pare poter addolcire il carattere arrogante dell’uomo, ben presto assumerà un accento sinistro, nel quale la possessività tracimerà in delirio di onnipotenza, alimentando la diabolica ebbrezza di un tiranno che finalmente si sente forte, non più solo e disperato, in quanto adesso è sicuro di avere una discendenza. La storia è rozza, benché nitidamente sagomata secondo la sobria rigidità del cinema nordico, duro ed essenziale, rarefatto ma tagliente. L’escalation della disumanità – nella quale non mancano momenti di crudeltà disturbante – si svolge con la precisione e la gradualità che si addicono ad un sottile thriller psicologico, nel quale la mostruosità emerge poco a poco dal nulla, preannunciata da un innaturale silenzio che inquieta. Di fronte a quell’informe vuoto, ad un’azione composta e trattenuta che non lascia trapelare i pensieri, l’occhio è portato a guardarsi intorno, alla ricerca degli spettri che potrebbero prendere ad invadere la scena, rivelando le prime ombre del mistero che tace, da qualche parte, nascosto sotto una coltre di paura. Tutto avverrà al momento giusto, senza anticipazioni ad effetto, senza allusioni che introducano, nella trama impalpabile come un filo di seta, la mano pesante della prevedibilità. Lärjungen è la tiepida epopea di un mondo in declino, di un patriarcato assoluto assediato e sconfitto dall’avvento della modernità: quella che, su quell’orizzonte fuori dal tempo, sta facendo scomparire i velieri e, con la comunicazione via cavo, ha cominciato a rendere le distanze meno invalicabili.
Questo film ha rappresentato la Finlandia agli Academy Awards 2014.
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