Regia di David Fincher vedi scheda film
Questa volta parto dalla fine: Il film mi è piaciuto abbastanza ma non mi sento di catalogarlo tra i migliori di David Fincher, nonostante un certo fascino ambiugo che lo contraddistingue ma con un finale piuttosto opinabile.
Soprattutto registicamente l'ho preferito in The Social Network, un film meno ambivalente e soprattutto più riuscito e coeso.
Gone Girl è un film complesso, quasi irreale nonostante il suo “abusarsi” di realtà, e, come il suo regista, irrisolto in quanto uno sguardo impietoso e cinico verso il più macabro dei mondi possibili (il nostro) tagliato come un bisteri per rivelarne le putrefazioni che, però, non sono in bella vista ma ben nascoste in profondità, e lo fa giocando con diversi generi cinematografici, in primis il thriller, ma trasfiguarndoli e riadattandoli in una maniera del tutto personale.
Nella prima ora infatti Fincher costruisce un classico thriller in piena regola ma quando siamo sicuri di cosa stiamo guardando e quindi delle regole che lo governano (la superficie) Fincher cambia la realtà e il McGuffin rivelatorio mostra la storia per quello che è veramente (il profondo), un ritratto antropologico, schietto quanto spietato, del reale rapporto tra maschio e femmina e quindi della natura stessa di cui è fatto il mondo
E non lascia via di scampo a nessuno.
Ma Gone Girl è anche/principalmente (?) un film sulle apparenze e sulla falsità e su cosa si è disposti a fare per il raggiungimento di una felicità troppo spessa scambiata per benessere sociale, ma non credo tuttavia che, come detto da molti, sia una esplicita critica al matrimonio.
O meglio può anche esserlo ma in maniera più indiretta.
Nel senso: se la coppia di protagonisti, marito e moglie nel film, fossero stati altrimenti una coppia di fatto o semplici conviventi non sarebbero caduti, in quanto non sposati, in quelle stesse insodisfazioni, egoismi personali o quant'altro che, portati all'eccesso, avrebbero trasformato la loro relazione in un inferno?
Anche perchè, come detto, l'obiettivo di regista e sceneggiatori (come forse anche dell'autrice del libro che ha collaborato alla sua stesura), secondo me era molto più generalizzato e va molto più in profondità rispetto alla natura umana.
E il suo occhio è indirizzato soprattutto sull'incomunicabilità e le differenze non solo fisiche tra maschi e femmine e su come questa eterna "guerra tra i sessi", tra l'incapacità di entrambi di accettarsi, confrontarsi o di coesistere secondo principi comuni che non siano solo di circostanza o di sopraffazione verso l'altro, abbia trasfigurato il mondo molto più di quanto traspare in superficie.
“Non voglio essere giudicato” è una delle maggiori paure di Nick Dunne, ripetuto più volte nel corso della pellicola ma, al contempo, per la moglie Amy e la sua natura psicotica è invece una vera ossessione essere “vista” dagli altri e nel modo migliore possibile.
Ed è questo il punto: Il giudizio (o pregiudizio) degli altri!
La paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui o di essere giudicati per quel che siamo davvero, quando abbiamo una pessima opinione di noi stessi o non ne abbiamo una sufficientemente buona.
E per superare queste paure ataviche manipoliamo e mentiamo. Alla famiglia e agli amici. Alla società. A noi stessi, perfino.
Ci nascondiamo dietro a maschere precostruite e iconografiche e lo facciamo tramite preconcetti e topoi impostoci dalla società e dal vivere comune soprattutto attraverso quei mezzi di comunicazione che hanno il compito di veicolarli nel mondo, tali preconcetti.
La critica ai mezzi di informazione, infatti, nel film non è soltanto un'ulteriore derivazione della storia ma è direttamente collegata al tema principale.
Così come Nick e, soprattutto, Amy devono all'informazione generalizzata I loro bisogni e le loro ossessioni, quali esse siano, gli stessi mass media cannibalizzano la loro vicenda per alimentare ulteriormente quelle stesse ossessioni e a loro volta sia Amy prima che Nick dopo se ne appropriano per manipolare quelle stesse informazione secondo dei propri bisogni.
Un serpente che si mangia la coda e di cui noi tutti siamo sia vittime che carnefici.
Indipendentemente dal fatto che siamo sposati o meno.
Molto buona la coppia dei protagonista, anche un Ben Affleck in una parte che effettivamente sembra costruita apposta per lui, ma Ben è un attore che non riesce mai completamente a convincermi, e seppur piuttosto bravo non ci riesce nemmeno in questa occasione.
Molto meglio la collega Rosamund Pike che, pur non arrivando a certi entusiasmi che avevo letto all'epoca, ci regala comunque un'ottima prova (e comunque meritevole dell'Oscar vinto, sia chiaro), molto intensa e drammaticamente convincente nel ruolo di un archetipo della "femme fatale" apparentemente in grado di manipolare chiunque osi opporsi o non sia disposto a cedere alla sua necessità assoluta di controllo.
Splendida anche la colonna sonora di Trent Reznor & Atticus Ross in grado di marcare ottimamente ogni momento della pellicola.
VOTO: 7
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