Regia di David Fincher vedi scheda film
La famiglia come origine di angoscia e insegnamento della povertà umana.
Un uomo un giorno torna a casa, il tavolino del salotto è distrutto, in cucina c’è del sangue e la moglie è scomparsa.
Un thriller con un’infinità di chiavi di lettura pur senza dire quasi niente. Sta allo spettatore giudicare il grosso e rimbambito marito con l’insoddisfatta moglie. Un film dove c’è sempre qualcosa sotto, sotto la rassegnazione, sotto la disperazione, sotto i sentimenti quasi puri.
La via scelta è quella dell’angoscia, dei silenzi, degli ambienti cupi. Tutto ha un aspetto inquietante ed è spiazzante come venga a galla la secchezza delle persone sempre e comunque, persino una storia d’amore perfetta deve fare i conti con la realtà.
Un’analisi del rapporto familiare attraverso un noir claustrofobico, dove i sentimenti delle persone hanno senso solo se sono condivisibili, sentimenti usa e getta, sentimenti egoisti, falsi.
Una storia tanto ben costruita da essere intrigante persino a carte scoperte e, anche al quel punto, anche il cattivo – nella sua follia – ha un motivo ampiamente condivisibile (anche se le conseguenze sono le più sbagliate).
Un’analisi dell’odio dietro la morbosità, dell’egoismo, della piattezza e dell’insensatezza nel voler assolutamente appoggiarsi al tempo, a quanto condiviso e a quanto provato come cuscino della coscienza.
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