Regia di David Fincher vedi scheda film
"Visto che il mondo sta prendendo una direzione delirante, è il caso di assumere un punto di vista delirante"
(Jean Baudrillard)
La struttura in tre parti di Gone girl, l’amore bugiardo, si divide fra storia melodrammatica, il suo sviluppo thriller, azione invasiva e analitica dei mass media. L’ultimo film di D.Fincher indica quanto il terzo elemento influisca sugli altri e li condizioni, ma soprattutto quanto questo fattore contribuisca a modificare fino ad arrivare ad un vero e proprio annullamento della relazione privata in favore di una pubblica capace di svilupparne modalità, linguaggi e comportamenti sempre più disumanizzanti e fuori controllo. Da un matrimonio apparentemente perfetto scaturiscono momenti di crisi, qualche incrinatura, piccole e comuni difficoltà. La perturbante moglie Amy scompare nel nulla nel giorno del quinto anniversario di nozze, lasciando solo l’imbambolato marito Nick nell’anonima provincia americana. Perché non sospettarlo della scomparsa, adombrando su lui sospetti e indizi? Affatto originale la storia da cui ne consegue uno sviluppo tutt’al più banale e senza troppi scossoni narrativi, va riletta totalmente alla luce del percorso interiorizzato di trasformazione che la superficialità dell’immagine, con le sue regole spettacolari di comunicazione, ha imbrigliato la coscienza individuale, confondendo segni, significati, semantica dell’azione. Il riscontro di mercato, ideologico ed economico, fatto di share, di spot, di amalgama sotto culturale ottiene il suo effetto a rilascio prolungato, la realtà è solo quella ripresa in campo, l’unica percepibile e l’unica possibile. Un elemento ricorrente che anima il cinema di Fincher è la tendenza a mascherare l’identità, a trasportare l’immagine nel sottotesto fino alla sua liquefazione, i precedenti Fight club e Zodiac sono pertinenti al dato in sé. Tradotto in spettacolarità, in pura materia cinematografica, non sempre il risultato può ottenere lo sperato riscontro, il sottotesto rischia di rimanere troppo nascosto e il racconto assumerebbe una semplice, delirante traccia simbolica di confronto fra le varie parti protagoniste chiamate in causa. Gone girl, che aumenta le fila di quei lavori recenti capaci di riflettere su di un contenuto sufficientemente basso ma dalle profonde implicazioni, mi riferisco a film quali The canyons e Maps to the stars, tenta un ulteriore passo in avanti rispetto ai temi fatti emergere da Schrader e Cronenberg, elevando lo spettatore a sistema mediatico integrato, nel film, dentro i personaggi, dietro la mdp, mescolati fra la folla assetata di notizie fresche che staziona davanti alla casa della coppia o seduta di fronte allo schermo. Le provocazioni del regista prendono forma nelle scene più discutibili e azzardate, improbabili che possano accadere, o mediaticamente lo spettatore vuole vedere che vadano in quel modo? Quanto sappiamo di Nick e di Amy, quanto il marito conosce la donna come chiede l’inquadratura iniziale col suo rimando di chiusura? Se vengono meno, la capacità introspettiva, l’elaborazione e la volontà di confrontarsi, la privata aspirazione di riconoscersi come può essere privata quell’inquadratura, sarà la dimensione pubblica a dare spiegazioni, sarà quella delegata a negoziare con il suo codice l’identità di una persona? Il film qualcosa spiegherà di certo, ma lo farà proprio esclusivamente con l’ottica mediatica della tv, applicando il suo standard ideologico non tanto perché banalmente strumentalizzata dai suoi portavoce(e su questo Quinto potere di Lumet ha già detto qualcosa) e neanche perché in grado di forzare la materia che va trasformando con la sua putrefazione morale (come Videodrome di Cronenberg ha previsto). Con la sua etica inconsistente applicabile a qualsiasi pseudo valore che tende all’immediatezza come al timore del pensiero, la realtà diventa spettacolarizzazione pura, che mescola finzione verità e astrazione, irragionevolezza da vendere alla mente. Nick,la sorella, Amy e i suoi genitori, gli amici, la spietata conduttrice tv e il pubblico adottano il delirante meccanismo comunicativo dei mass media, facendosi forte delle nuove verità acquisite dallo schermo. Sia Nick che Amy utilizzano e subiscono il flusso mediatico inarrestabile ma che, come li mette nel suo tritacarne, rappresenta anche l’unica via d’uscita sostenibile. Corredato da un accompagnamento sonoro efficace il film si snoda lungo due ore e mezza, senza pause. Ennesimo dato che porta a segno il suo coinvolgimento fra il pubblico che accetta e identifica quei meccanismi comunicativi e ne segue attivamente le contorsioni verbali e non, come parte complementare di un reality. Fincher alimenta il dubbio che la già relativa verità dell’immagine stia oggi più che mai stretta alla realtà, sempre più sfuggente e meno inquadrabile. La sua è una visione pessimistica e catastrofica di una società che non sa ritrovarsi e tantomeno recuperare un pensiero critico collettivo.
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