Regia di David Fincher vedi scheda film
Le apparenze ingannano e se i dubbi dello spettatore iniziano presto e si protraggono fino alla fine e, direi, anche dopo lo scorrere dei titoli di coda, il merito va senz’altro accreditato alla buonissima sceneggiatura della stessa scrittrice Gillian Flynn e al talento innato di David Fincher nel disegnare thriller ad alta densità di mistero.
“Ma che bravo il ragazzo che fa il bravo ragazzo!” dice il giovane detective dopo solo qualche minuto che ha conosciuto Nick Dunne. Infatti è proprio il faccione da bravo ragazzo di Ben Affleck che insospettisce la polizia. Troppo tranquillo, troppo a posto, tanto fino a insospettire. Nick non entra mai nel panico e non si dispera, nonostante la giovane e bella moglie sia svanita nel nulla una tranquilla e monotona mattina in una tranquilla e monotona cittadina: dà quasi l’idea che sia un anomalo incidente che però poteva capitare, fino a non sembrare sorpreso più di tanto. Dunque, David Fincher parte da una situazione già ambigua per creare i presupposti di una storia che man mano si rivelerà sfuggente come un serpente viscido, merito anche dei particolari personaggi creati dalla penna di Gillian Flynn, autrice del libro da cui è tratto il film. Nick è il marito poco addolorato dalla scomparsa della moglie e ha chiaramente qualche scheletro nell’armadio; Margo è la sorella gemella tanto legata al giovane da far sembrare addirittura morboso il loro rapporto; Amy, apparentemente la più fragile, è la signora Amy Dunne di cui non si hanno più notizie e di cui poi la trama svelerà i diversi aspetti della sua complessa personalità. Amy è il fulcro della trama, tutto ruota intorno alla sua figura, che con lo sviluppo della storia diventa sempre più difficile da definire e non si è mai certi nel darle una sicura definizione. È un personaggio terribilmente coinvolgente, seducente, complicato e da un certo punto respingente e seducente nello stesso tempo. È una donna molto forte senza però mai assumere connotati mascolini, come spesso succede a tanti sceneggiatori per dar maggior spessore al carattere di una donna fortemente volitiva, e lo sguardo, più che mai adatto di Rosamund Pike, completa alla perfezione l’idea della donna che aveva in mente Fincher e credo perfino la Flynn. La bella attrice ha trovato il suo ruolo assoluto e la migliore occasione della sua vita artistica: il suo leggero strabismo di Venere (che la rende più affascinante) è l’ingrediente giusto per nascondere la verità agli occhi degli altri.
L’amore bugiardo è dunque il suo? Nient’affatto, è quest’amore che è ingannevole, è questo rapporto di coppia, troppo perfetto per essere sincero, che è fasullo. Tanto quanto è intenso, a volte mostrato “troppo” in sintonia, quello tra i due gemelli Nick e Margo, fino a dar l’impressione di una certa intesa che travalica l’affetto fraterno. Insomma, è proprio il caso di affermare che le apparenze ingannano e se i dubbi dello spettatore iniziano presto e si protraggono fino alla fine e, direi, anche dopo lo scorrere dei titoli di coda, il merito va senz’altro accreditato alla buonissima sceneggiatura della stessa scrittrice e al talento innato di David Fincher nel disegnare thriller ad alta densità di mistero e suspense. Se il regista ci ha abituati a rendere complessi i suoi racconti – pensiamo per esempio ai bellissimi Seven, The Game, Fight Club – e a depositare cerchi concentrici l’uno sull’altro e distanti nel tempo come in Zodiac, qui credo abbia raggiunto il suo massimo nell’opera di stratificazione degli elementi che mette a disposizione dell’inebetito osservatore: il film avanza accumulando episodi, affermazioni, negazioni, cambiamenti di versioni da parte dei protagonisti. Tutto ciò induce a considerare questo film molto al di sopra dei thriller visti negli ultimi anni, ben più complesso e architettato, che alla fine pare dare la soluzione definitiva e che invece, facendo finta di mettere le cose a posto e lasciare tutto in ordine, sembra sospendere il finale in attesa di chissà quale altro evento. Che verrà o forse no, e chissà quando. Ma un delitto o un quasi reato vogliono sempre un colpevole e noi ce lo abbiamo, piacenti o no, vero o finto, per buona pace di tutti: polizia, opinione pubblica, media televisivi, parenti. Gli unici insoddisfatti paiono, incredibilmente e ovviamente, proprio i due coniugi, che d’altronde hanno sempre immaginato di essere la coppia perfetta per eccellenza. “Siamo la coppia più felice che conosciamo, d’altra parte perché stare insieme se non per essere i più felici.”
Interessante dal punto di vista sociale come viene trattata l’intrusione dei media televisivi nelle vicende che sanno attirare l’attenzione della pubblica opinione con l’invadenza che ben conosciamo e il caso come quello trattato nel film è proprio quello giusto per tenere incollato il pubblico al piccolo schermo casalingo. Audience che sale alle stelle con la passione, lo sdegno, i pettegolezzi e le congetture della conduttrice, che così ha trovato una miniera d’oro per tutti i giorni (ci viene in mente qualcuno della nostra TV?)
Non era facile adattare a sceneggiatura un romanzo scritto a due voci, in cui Nick e Amy raccontano le loro contrapposte visioni della storia in maniera alternata e con il lettore in mezzo come un giudice che deve decidere chi dice la verità e chi quindi ha ragione. Fincher, girando il film con parecchi flashback, adotta perentoriamente la strategia di un’unica verità (bugiarda?), quella di lei, raccontata e a volte recitata con enfasi e con strattagemmi teatrali, messinscene sanguinolente, quando invece Nick deve giocare continuamente di rimessa e contropiede, deve difendersi costantemente e ad ogni svolta o nuova rivelazione si ritrova sotto accusa e sotto cattiva luce agli occhi dell’inviperito pubblico della maliziosa e senza scrupoli conduttrice televisiva che cerca di sfruttare l’ondata di interesse che il caso della sparizione della donna ha sollevato. Amy scaraventa le sue verità, Nick deve difendersi da queste bugie. O forse è il contrario? Benedetto Fincher!
Il finale è ambiguo come tutta la storia e come i due protagonisti: Amy è bella e attraente, bionda come la Madeleine di Sir Hitchcock e come questa vive due vite; Nick alla fine è soddisfatto ma sorride sornione, forse si ricomincia, pensa, ma come andrà a ri-finire non si può prevedere: il suo sorriso è chiaramente bugiardo, è più una smorfia che altro. C’è quindi una vittima? Sì, il matrimonio, il loro e di tutti quelli tra due persone che hanno una verità ciascuno.
Inutile perdersi a criticare Ben Affleck, perché se il regista lo ha fortemente voluto vuol dire che era solo a lui che voleva affidare i panni di Nick. Rosamund Pike merita parole diverse: lei è praticamente perfetta, finalmente nel ruolo più importante della sua carriera, fino adesso non particolarmente esaltante. Adesso inizia il suo futuro.
David Fincher è ormai un maestro del genere ed è inutile scomodare, come va sempre di moda quando si parla di thriller e simili, il Maestro del brivido, inutile fare paragoni. Fincher è a suo modo un vero maestro, sin dai tempi di Seven (aveva solo 33 anni), e adesso, dopo le straordinarie prove di Zodiac e Millennium approda ad un vero ottimo esempio del genere, certamente uno dei migliori degli ultimi anni.
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