Regia di David Fincher vedi scheda film
Attenzione spoiler.
Gone girl è il film del momento e, visto il periodo festivo, può anche andare bene così. Forse il tempo calibrerà meglio la sua posizione relativa fra le pellicole di genere, o forse ero io a non essere in serata né la prima né la seconda volta che l'ho visto, fatto sta che l'incontro con l'ultimo Fincher non è stato per me un colpo di fulmine. Eppure quelle inquadrature laconiche all'inizio del film, quei ritagli angolati della provincia americana, quel muto primo piano di un tombino di ghisa ad altezza strada, quelle sì mi erano piaciute subito e mi avevano fatto ben sperare.
Orchestrato su tre temi che, sommati, giungono ad un’ottima copertura dei target di potenziale interesse ovvero una storia d'amore e il giallo di una scomparsa calati nell'attualità di un sistema informativo e mediatico che distorce e falsifica la realtà senza scrupoli nè controllo, solo in quest'ultimo aspetto critico il film mi è sembrato andare sufficientemente a segno e rivelare la mano disinvolta di Fincher che, al contrario, allestisce le altre due tracce con mestiere ma senza molta ispirazione. Ma andiamo con ordine, tenendo presente che soggetto e sceneggiatura non sono opera di David Fincher bensì della scrittrice Gillian Flynn, autrice del romanzo omonimo.
La storia d'amore. Palesemente troppo perfetta per essere vera, la relazione esibizionista tra Amy e Nick ha la sua colpa principale non certo nel mostrare debolezza alle prime avversità (in fondo è ciò che ci si aspetta fin dall'inizio di fronte a tanto ostentato edonismo) ma piuttosto nel volersi proporre come campione rappresentativo di matrimonio tanto da muovere riflessioni universali sulla vita di coppia, come quelle suggerite dall'insistito voice over "... le domande di ogni matrimonio ... che cosa ci siamo fatti?". L'intenzione, buona sulla carta, era quella di aprire un varco di umanità tra le maglie del racconto giallo e lasciare qualcosa di più autentico a cui ripensare dopo la fine del film, ma purtroppo niente è meno condivisibile e meno empatico di questa improbabile personificazione di Barbie e Ken. Senza un minimo di studio psicologico nè di verosimiglianza persino le scene di sesso tra i due, come anche gli scontri verbali, non sanno di nulla, così che la falsificazione del loro mondo ideale giunge senza alcun dolore a cancellare un modello nel quale nessuno aveva realmente creduto o potuto immedesimarsi. Una perfezione costruita ad arte e poi distrutta ad arte, senza un briciolo di umana amarezza, per di più con l'artificio di un fattore che esula dalla casistica ordinaria (la personalità distorta di Amy) e priva la vicenda di rimandi reali, negandole respiro e profondità e relegandola alla pura dimensione thriller. E' a causa di questo inevitabile distacco emotivo dalla vicenda che si rimane perplessi su quale peso attribuire alla storia d'amore e ci si ritrova infine con l'unica conclusione di buon senso matrimoniale che possa scaturire direttamente dallo schermo e cioè che sposare una psicopatica può non essere una buona idea.
Una cosa va però riconosciuta: nelle scene finali sappiamo con certezza che Amy e Nick stanno recitando un copione di falsa felicità, mentre all'inizio della loro storia il loro atteggiamento iper-romantico è da supporre sincero (reale o raccontato così da Amy è comunque ciò che ci viene mostrato), ciò che colpisce è che in entrambe le situazioni i due si comportano in modo egualmente esibizionista e stucchevole quindi, nel loro caso, sincerità e falsità portano esattamente allo stesso risultato. Questa ambiguità può essere un punto interessante.
Il thriller. La traccia thriller ha buona presa, e con essa l'ambiguità della posizione di Nick, fino a che non viene svelato che fine ha fatto Amy. Da quel punto in poi la vicenda prosegue per tappe, ma la tensione drammatica frena notevolmente mentre la storia si dipana lungamente e senza una riconoscibile scelta di stile. Diversi punti non sono all'altezza di una scrittura brillante: superficiale la falsificazione dello stato di gravidanza di Amy (forse non nel Missouri, ma nel resto del mondo non è l’esame delle urine a certificarlo in cartella clinica bensì un esame del sangue effettuato con un prelievo in ambulatorio); mi è sembrata vistosamente maldestra tutta la parte della fuga di Amy - travestita da amish con fazzoletto in testa - compresa l'ingenua caduta dell’involto di banconote durante la partita a golf e il conseguente, sbrigativo, furto da parte dei due balordi; irreale l'intera tappa nella fantasmatica villa dell'ex fidanzato piena di telecamere (gliele avrà piazzate Fincher per riprendere meglio il delitto), compresi gli amplessi belluini (ok, citazione da Basic Instinct, e quindi nemmeno originale...), particolarmente scadente la scena in cui Amy e l'ex fidanzato guardano catatonici la tv sul divano mentre lei trangugia gelato in versione quacchera depressa prima di ri-trasformarsi in una serial vamp; infine svarione imperdonabile, che mi fa piacere abbia rilevato anche @ohdaesoo nella sua recensione, e cioè Amy arriva in ospedale completamente sporca di sangue, viene soccorsa, visitata e curata, dopodichè rilascia l’intervista con camice ospedaliero lindo sopra la pelle ancora sporca di sangue e, come se non bastasse, esce dall’ospedale e fa ritorno a casa ancora sporca di sangue come Carrie e ancora vestita col camice, in queste condizioni però saluta educatamente i giornalisti. Capisco che si volesse girare la scena della doccia lavasangue a casa, però a quel punto non si può far altro che chiudere un occhio e prendere il film per quello che è e cioè un mainstream parecchio spensierato.
Il contesto mediatico. Come si diceva questa parte è la migliore, anche se non nuova nel contenuto, e va a segno nel descrivere la realtà parallela creata dai media, di dimensioni tali che oggi anche un caso di scomparsa può assumere la portata mediatica di una campagna elettorale e richiede l'intervento di un ufficio stampa. Innocenti, colpevoli, verità e falsità, tutto va presentato nel modo opportuno e al momento giusto e magari rinnegato un attimo dopo. Persone comuni, portate in un lampo alla ribalta della cronaca, devono imparare rapidamente come si rilascia un'intervista convincente in tv mentre determinate anchorwoman, con l'espressione del viso inasprita dal botox, fanno semplicemente il loro mestiere e cioè vendere anzichè informare.
Nel complesso la mia impressione, personale e forse sbagliata, è che Fincher abbia lavorato su questo soggetto - o almeno su alcune parti di esso - con spirito di servizio ma senza entusiasmo, il suo indiscusso talento avrebbe meritato di avere più libertà di manovra almeno sulla sceneggiatura, che invece è rimasta totalmente in mano alla scrittrice Gillyan Flinn, e che infatti tradisce ovunque un'estetica da best seller. Ulteriore testimonianza di approssimazione sono le figurine monodimensionali dei personaggi di contorno: da Margot, la sorella imbruttita e sempre incazzata, alle due sagome posticce e ingessate dei genitori di lei, per finire con la detective che si aggira per le scene con il bicchierone di coca cola perennemente incollato alla mano in puro stile telefilm.
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