Regia di David Fincher vedi scheda film
L'artificio e la paranoia possono trovare pane per i loro denti in questi tormentati anni di fiction reale in cui ci ritroviamo a vivere, ostacolati da uno scontro faccia a faccia con la fama e l'invadenza delle immagini televisive e del web, che spiccano e si infiltrano dappertutto accecando più dei flash dei giornalisti. Nel distribuirsi pazzo delle opinioni di chi meno merita la parola, e di chi più va a influire sull'opinione pubblica della bella gente pronta a criticare e a puntare il dito attraverso uno schermo, si ritrovano ad esistere due individui normali (forse "un po' più normali degli altri"), Amy e Nick, lei figlia di due genitori autori di serial per giovani adolescenti con protagonista proprio una versione idealizzata della figlia (intitolato Amazing Amy), lui bugiardo come gli altri uomini e dotato di un sorriso beffardo che non si addice quasi mai alle situazioni, se non quando è necessario per flirtare e portarsi a letto la bella ragazza incontrata ad una festa.
In questa fitta ragnatela di occhietti vispi che trasformerebbero in una storia da serie tv la tragedia più allucinante e misteriosa, rendendola una semi-parodia di se stessa, improvvisamente Amy scompare. La sua casa in Missouri, in cui si è da poco trasferita con il marito, viene ritrovata da Nick stesso in uno stato pietoso, e alcune tracce sembrano indirizzare gli indizi di un possibile rapimento (o addirittura di un omicidio) verso lo stesso Nick, specie quando vanno accumulandosi aggravanti come la ricchezza di lei (che vive di rendita con la celebrità dovuta alla sua Sé stilizzata nei libri con immagini dei genitori) o il fatto che il marito della di lei vita sapesse poco o nulla... David Fincher, dopo un inizio in medias res che paradossalmente sembra faticare a partire, in qualche modo, a causa dell'apparente ingenuità dello script (da sommare al deprecabile lavoro del doppiaggio italiano), parte in quarta per aggrovigliare i nodi di una trama complessa e stratificata, volendo anche artificiosa, ma dagli sviluppi affascinanti, nonché prevedibili solo poco prima che essi stessi si verifichino. Gone Girl è un film sulla televisione, sulla perversione di un mondo che non fa altro che guardare e indire processi via etere piuttosto che nei tribunali. Gone Girl è un film sugli stereotipi, quelli sessisti del maschio ubriaco e violento e della donna gentile e premurosa, quelli vittimistici che trovano il facile colpevole di un presunto misfatto in un caprio espiatorio, solo sulla base dell'antipatia piuttosto che di prove concrete (antipatia come quella che si può provare verso un personaggio televisivo, piuttosto che per un essere umano). Gone Girl è un film inumano, cioè a dire sulla deformazione che l'uomo ha o può assumere nella percezione di sé e di quello che lo circonda quando la sua stessa psiche risulta compromessa a causa dell'apparire e del costante affacciarsi della sua immagine. Gone Girl è un film artificioso che indaga l'artificio, il finto, e lo riconduce a ciò che speriamo sempre di dare per scontato, ma che poi risulta beffardemente incenerito dagli eventi.
Gone Girl è in definitiva un film sulla pazzia, e su quella del globo quantomeno occidentale. Non c'è niente di intimistico, nella nuova opera di David Fincher, quanto piuttosto qualcosa di sottile (perso nella costante voglia di stupire con twist shockanti o anche agghiaccianti): effettivamente il regista americano non fa altro che farci appassionare a una storia di non-ordinaria follia come se fossimo una di quelle persone che osservano dalla televisione dentro il film tutto ciò che riguarda la sparizione di Amy, e non lo fa simulando la piattezza dei servizi di cronaca giornalistica, ma facendoci appassionare con gli strumenti più soliti e già visti, e tenendoci incollati alla poltrona come solo lui sa fare e ha saputo fare in passato. I due interpreti protagonisti hanno il physique du role perfetto, e sono adatti con i loro sguardi (di cartapesta quello di lei, burbero e sornione quello di lui) per rappresentare la fine dei rapporti umani, e l'inizio di un barbarico gioco al compromesso, in cui la relazione con l'altro diventa un costante reciproco cannibalico accanirsi, manipolarsi, fino al sacrificarsi per il bene dell'audience e della propria vita. E che alla fine cada vittima del fascino orripilante della mania la stessa persona che ne era diventata vittima rivela la straordinaria sagacia di un finale come quello di Gone Girl, pieno di difetti in ambito di dialogo, certo efficace sul fronte del ritmo, ma abbastanza ordinario nella gestione dello stile. Che risulti tutto un po' macchinoso è funzionale all'idea finale che resta, e che fa salire lenta un brivido: è difficile che la gente possa crederci, perché richiede sempre uno sforzo capire la strada (vera) più difficile.
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