Regia di David Fincher vedi scheda film
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GALA
Gone Girl è l’Attrazione Fatale degli Anni Dieci o questa almeno sembra essere la sua ambizione, il suo stile, lo stress psicologico in fondo anche morbosamente ammaliante a cui vuol condurre il suo pubblico.
D’altro canto il migliore Adrian Lyne, ovvero quello di tutti gli ’80, non aveva niente da invidiare al mirabile stile del sempre abile ed affidabile Fincher. O forse l'ultimo thriller di Fincher si accontenta di mostrarsi come il nuovo Basic Instinct, aspirandone agli incassi, per il suo descrivere una nuova formula di dark lady, più celebrale, infida e machiavellica di quella mammola in fiore della Catherine Tramell. Un personaggio di femme fatale che deve aver acceso gli animi e le speranze agguerrite di molte attrici, probabilmente anche famose, ed un ruolo che è finito per aggiudicarsi, scelta peraltro azzeccata e pertinente, la statuaria venere bionda, un po' gatta morta, ma dallo sguardo malizioso ed intrigante, che è Rosemund Pike.
Thriller imbroglione e furbetto, costruito a tavolino come il più geniale e cronometrico degli inganni, utile tuttavia a denunciare una volta in più l’imbecillità e la credulità dell’opinione pubblica, americana e non; la stessa che è in grado di trasformare, senza battere ciglio e con un cinismo ed una freddezza da automi, un uomo qualunque, con i suoi forse anche limitati pregi e i conseguenti più numerosi difetti, in un mostro senza appello, per poi elevarlo ad eroe solo pochi giorni dopo, ricacciandolo nel fango melmoso nuovamente un istante dopo, quando una pseudo novità verrà a turbare le aspettative di un'opinione pubblica (e degli spettatori in sala) che è un vampiro assetato di novità, che si aspetta fino all'ultimo secondo piccanti particolari in grado di rovesciare la vicenda tortuosa e rocambolesca che sembra sceneggiata proprio dal Joe Eszterhas di Basic Instict.
Nick ed Amy sono una coppia di sposi bella e giovane, entrambi scrittori, lui in crisi creativa, ma lei di gran successo dopo aver inventato un personaggio di adolescente femminile generatore di un vero e proprio fenomeno letterario. Quando quest'ultima sparisce nel nulla in circostanze misteriose ed il marito ne denuncia il fatto emergono particolari anche intimi sempre più morbosi e costruiti, manipolati, che finiscono per indicare come principale sospettato proprio il consorte, dapprima apparentemente amorevole, pilastro indissolubile e portante di una coppia che pare inossidabile, ma che poi evidenzia qua e là crepe sempre più compromettenti.
Addentrarsi ulteriormente nella trama complessa e colma di colpi di scena e ribaltamenti significherebbe uccidere ogni motivazione per andare a vederlo, appassionarsi o farsi venire della rabbia: perché Gone Girl, malizioso, furbo, anzi furbissimo, finisce per ferire lo spettatore conducendolo per un percorso accidentato che è un luna park degli inganni e della manipolazione in cui alla fine è anche piacevole, per quanto amorale, perdersi senza farsi prendere da sensi di colpa. La regia efficace ed abile del solito robusto e talentuoso David Fincher aiuta in tutto ciò, fornendo allo spettatore uno spettacolo rutilante come il più inverosimile noir degli anni '40 che tuttavia serbiamo tra i ricordi discutibili (lo sguardo incisivo come un bisturi di Rosamund Pike che contrasta con quello sempre bonario di Affleck, perfetto per questo suo ruolo di uomo adescato, sfruttato, circuito) ma incancellabili della nostra memoria cinematografica.
Tra gli interpreti coinvolti, citerei senza indugi la prova egregia della tenace poliziotta impersonata da Kim Dickens, in un personaggio forte e concreto che ricorda certe donne forti interpretate da attrici indimenticabili come Frances McDormand o Holly Hunter.
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