Regia di Ron Howard vedi scheda film
Nei meandri dell'oceano, dentro al ventre della bestia, fino al cuore della leggenda: "In the Heart of the Sea" racconta del rapporto primigenio dell'uomo con il mare e i suoi misteri, i suoi segreti celati negli oscuri abissi, la sua dura legge della sopravvivenza. Lo fa in un primo momento utilizzando l'oceano e le sue impietose distese d'acqua come il luogo della lotta di classe tra il primo ufficiale Owen Chase e il capitano George Pollard Junior, ma dopo il primo tempo le loro quisquilie diventano nulla in confronto all'orrore e allo spaesamento che coglieranno loro e il resto dell'equipaggio nell'incontro con una delle più feroci e terrificanti manifestazioni della forza della natura mai sperimentate dall'uomo, talmente portentosa e sconosciuta da scuotere e segnare irrimediabilmente le loro vite per sempre. Moby Dick è da sempre un'immagine impressa nell'immaginario collettivo della nostra specie: è il mostro che riaffiora dall'ignoto per materializzare le paure più nascoste dell'inconscio, è la natura che si ribella al dominio dell'uomo e riprende violentemente le redini del creato, è il mito che non muore mai, è il leviatano che bisogna temere per forza, anche per una questione di rispetto, è la curiosità che spinge gli esseri umani ad avventurarsi in terre (o mari) sconosciute(i) (perchè fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza), è la fantasia che corre là dove l'occhio non può arrivare, è la terribile bellezza dell'inconoscibile. E Ron Howard è bravo nel non perdere mai il senso di un'epica marinaresca che risveglia istinti sopiti nel cuore selvaggio dell'uomo; piuttosto sembra che la prima parte sia solo una superflua preparazione all'incontro con la regina dei cetacei, il fantasma dalla gobba bianca che infesta gli incubi dei marinai e che diventerà l'ossessione (letteraria) di un uomo pronto a fare un patto col diavolo pur di porre fine alla sua esistenza e soddisfare la sua malata sete di vendetta. L'epilogo è altrettanto scontato, così come i caratteri dei personaggi e le prove pur buone degli attori (perchè sprecare Cillian Murphy in un ruolo così ininfluente?). Buona invece la parte dedicata alla lunga ed estenuante lotta per la sopravvivenza in mare aperto, fra atroci sofferenze e abominevoli accadimenti, in cui i protagonisti saranno messi di fronte a prove disumane con una presenza arcaica quasi metafisica intenta a seguirli e minacciarli. Ma c'è una scena che mi ha dato un brivido: quel momento di indescrivibile emozione in cui lo sguardo del primo ufficiale Owen Chase incrocia quello della balena bianca. Lì, dopo averli affondati, decimati, perseguitati, il grande capodoglio potrebbe finirli e invece si prostra inerte di fronte all'arpione del baleniere, quasi in attesa del prevedibile colpo mortale. E il cacciatore, proprio quando avrebbe la possibilità di ristabilire i ruoli precedentemente ribaltati, desiste. L'imprevedibilità, l'incomprensibilità, l'impassibilità di una natura irrazionale e struggentemente bella è tutta lì. E quel momento da solo vale più di tutto il resto del film.
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