Regia di Ron Howard vedi scheda film
Nessun sussulto per una storia spettacolare agli occhi e incapace di toccare il cuore. Un Ron Howard "arenato" in un grande progetto ben confezionato ma povero di contenuti che finisce per annoiare.
Son certo che Herman Melville, verso la metà del 1800, andasse veramente in giro a raccogliere e accatastare, selezionare, scartare, testimonianze riguardo a esperienze marittime di ogni genere, soprattutto su baleniere e cetacei, in cerca di strutturare il suo capolavoro Moby Dick. Sono altrettanto convinto (senza poterlo provare ovviamente, insomma ci giurerei) che poco di quanto raccolto (stando almeno a questa piatta ricostruzione) possa aver contribuito, a parte (ovvio) le mastodontiche dimensioni del capodoglio che, nel 1820, attaccò la baleniera Essex provocandone il naufragio. Ron Howard, regista pluripremiato che continua a non convincermi del tutto, ricostruisce uno scenario oceanico dal forte impatto visivo dando grande profondità alle inquadrature, spalleggiato dal grande direttore della fotografia britannico Anthony Dod Mantle, (THE MILLIONAIRE e 127 ORE per intenderci). Il tutto però, è come una specie di appetitoso bignè che al primo morso, rivela un deludente contenuto privo, o quasi di sapore. La personalità di Owen Chase (CHRIS HEMSWORTH) e del capitano Pollard (BENJAMIN WALKER) risultano "mutilate" della loro vera essenza. Le pagine del libro (da cui il film è tratto) vengono "lavate" in un certo senso e ricoperte da un denso strato di avventura che finisce per essere il tutto e il niente. La psicologia dei personaggi viene "sbiancata", impallidita fino a scomparire. L'equipaggio così assertivo a terra (soprattutto Chase, vistosi scavalcare nel ruolo di capitano per le sue origini contadine e per la dubbia moralità del padre), diventa trasparente e appena percettibile tra le lance di salvataggio, nella lunga parentesi (la più interessante) del naufragio. Alla duecentocinquantesima "codata" della enorme balena bianca, ci si sente un po' al delfinario, e francamente un po' stufi di veder ostentare la magnificenza dell'animale come unica splendida gemma di un'opera che, nel raccontare la storia che ha dato a Melville l'ispirazione, smarrisce il proprio filo narrativo.
Non bastano la cura dei dettagli, il dramma (che poi arriva) e uno "sciosciare" del vento che insieme allo sciabordio delle onde compongono un ritmo capace di farti quasi respirare l'odore salmastro (chiudendo gli occhi), perché il film di Howard non sa, non riesce a raccontare con passione (la freddezza dell'approdo al porto ne è l'ulteriore prova) e pur essendo molto meglio di tanti altri film, aveva ambizioni assai più alte. Allo scorrere dei titoli, immerso in riflessioni personali, avrei riavvolto, modificato, cambiato, sforbiciato, ma in realtà non è facile per nessuno raccontare la nascita di un capolavoro come Moby Dick, costretti a rimanere all'ombra dello stesso. Lontani sono la Pequod e Queequeeg e lontanissimo Achab, ad inseguire sogni fino alla morte, tra l'odore dello spermaceti così osannato da Melville che vien voglia di spalmarselo addosso. Nessun richiamo, nessun lampo. Migliore il libro, non parlo di Moby Dick ma di quello omonimo al film scritto da Philbrick Nathaniel (vabbè, "same old story") però dal Ron Howard di A BEAUTIFUL MIND mi aspetto di più... molto di più.
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