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Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick

di M Valdemar
6 stelle

 

locandina

Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick (2015): locandina



All'apparenza, una coppia malmaritata. No, non il capitano Pollard e il suo primo ufficiale Chase. Ron Howard e (la storia dietro e davanti e dentro) In The Heart of the Sea: riuscite ad immaginare un regista più (prevedibilmente) rassicurante come Ron Howard per tramutare in cinema una tale sequela di conflitti, sventure, paure, rivelazioni? Melville non cercava una mera trama bensì la storia di uomini che avessero il coraggio di andare oltre, di sfidare il mare e il male e (il male dentro) sé stessi, di confrontarsi con l'ignoto. L'ignoto e oltre; e le discese nel maelstrom dell'umana superbia. E le ossessioni. Quella del marinario campagnolo Owen Chase per la mastodontica balena bianca, quella della stessa creatura marina per i sopravvissuti al naufragio procurato, quella del capitano per diritto di nascita George Pollard per avere il rispetto dei suoi uomini, quella del (fu) ragazzo - il mozzo Thomas, in seguito narratore delle vicende della Essex - per quanto avevano fatto (cannibalismo e dintorni: materiale da survival movie), quella del gruppo di comando del fiorente porto di Nantucket (armatori, ufficiali, finanziatori, politici) per il preziosissimo olio di balena. Quella, infine, dello stesso Herman Melville - avido ascoltatore, febbrile utilizzatore finale di carta e inchiostro - per la (scrittura della) storia. Poteva pertanto essere un naufragio, la "ronhowardizzazione" del testo; e difatti, come (facilmente) ipotizzabile, il linguaggio e il codice linguistico del navigato regista americano fluttuano sereni tra le onde di una narrazione/traduzione essenziale, tradizionale (in tempi in cui esserlo è essere fuori dal tempo), spoglia di azzardi, affondi di qualsivoglia specie e sovrastrutture filmiche e metatestuali e altre acrobazie registiche. Data la rotta e nota la meta, ogni elemento è al posto giusto, nel momento giusto: facce e pose, assalti spettacolosi e soste introspettive, onde sonore e sonoro dell'onda emozionale («Soffiaaaa!», il mostro marino), cronaca del presente e racconto in flashback (più interessante il primo, tant'è), posizionamento della mdp e dello spettatore. Ridotto il testo a mera retorica dell'epica avventurosa (roba di racconti di mare, ogni cosa è nota), centrato il climax nell'incrocio di bulbi oculari tra Chase e il capodoglio (il primo, estremamente provato dalla lunga permanenza nei deserti oceanici, "capisce" che non può uccidere la bestia), (r)aggiunta la (elementare) appendice didascalica (il ritorno a casa e conseguenze: ricongiungimenti, fughe, inchieste-farsa, riscatti) nonché morale (l'arroganza e la cupidigia dell'uomo, le oscurità della Natura), l'orizzonte è questione di minutaggio. Il viaggio portato a termine ... Poteva essere un naufragio, si diceva: e pure non lo è stato, proprio per queste capacità del regista di timonare il bastimento in tutta esperienza e solidità: il Cinema migliore naviga in ben altre acque, d'accordo, ed i limiti e coordinate dell'opera sono (fin troppo) palesi (ed in un certo senso rivendicati), ma per un blockbuster la placida visione ronhowardiana è uno sguardo limpido sul mare mainstream.



[ p.s. consiglio di post-visione: Leviathan, portentoso concept album prog metal dei Mastodon, ispirato a Moby Dick ]


I no longer govern my soul / I am completely immersed in darkness / As I turn my body away from the sun / White whale, holy grail / White whale, holy grail ...




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