Regia di Gyan Correa vedi scheda film
L’autostrada non è un posto in cui essere gentili. È un luogo in cui ci si trova solo per caso, dopo essersi perduti. Ed è unicamente per necessità, o magari per semplice convenienza, che si decide di proseguire insieme il cammino. Questo road movie indiano presenta la strada come un mondo privo di punti di riferimento, in cui tutto si muove e si ferma secondo gli alterni umori del destino, pericolosamente mescolati all’umana irrequietezza: un male universale che non risparmia davvero nessuno, buoni e cattivi, grandi e piccini. Un bambino raccoglie un cagnolino randagio, e viene dimenticato dai genitori in una stazione di servizio. Un camionista ed il suo giovane assistente si apprestano a compiere una missione illegale e rischiosa, ma, lungo la via, avranno modo di approfondire il senso della loro vita. Una ragazzina finirà in mani criminali, però la sua storia sarà a lieto fine. Tutti sono pronti, in qualsiasi momento, a sbagliare e a riscattarsi, a salvare e ad essere salvati. Il vero significato del viaggio risiede nella sua natura avventurosa, in cui l’imprevisto si trasforma in una sfida che dà avvio ad una fase di cambiamento interiore, di presa di coscienza di sé, di (ri)scoperta di ciò che si è e che si possiede. I valori dell’amore, della sicurezza, della dignità tornano ad apparire più preziosi che mai nel preciso istante in cui sono messi a repentaglio, e minacciano di svanire per sempre. È esattamente allora che l’altro diventa un sostegno, un termine di confronto, un compagno che indica la direzione da prendere, caricando sulle proprie spalle una parte della responsabilità legata ad una scelta tanto cruciale quanto complicata. Nelle vicende dei vari personaggi di questa storia, risulta difficile distinguere tra la corsa verso la meta e la fuga dal nemico; il problema da risolvere si compone di un traguardo da raggiungere e di una trappola da evitare, ed il rischio è quello di girare in tondo, senza ottenere nulla. Kiran si mette in cerca di suo figlio Aditya, e poco dopo rimane bloccata con l’auto in mezzo al deserto; una carovana di passaggio la troverà svenuta sulla sabbia, e la riporterà dal marito. Non c’è logica nel gioco delle partenze precipitose, degli incontri fortuiti, della fretta di arrivare e della paura di non farcela. L’ansia è l’acceleratore di un caos che, una volta innescato, continua ad alimentarsi con gli errori commessi per avventatezza. Questo perpetuum mobilericombina le unioni, producendo, tra estranei, provvisorie illusioni di familiarità, paragonabili ad oasi, a miraggi, a miracolosi attimi di trasfigurazione della realtà e di oblio del dolore. The Good Road ci spiega la magia dell’azzardo con la polverosa ed asciutta sobrietà di un universo marginale e indistinto, che non è né antico, né moderno, né città, né campagna, e in cui tutte le componenti della società si incrociano nella desolazione tipica di tutte le realtà sospese. Le persone, lì dentro, dovrebbero sentirsi libere, e invece si portano appresso il peso dei desideri inesauditi e delle speranze deluse: un sedimento diluito nell’essenza, turbinosa e rarefatta, di un vagabondaggio affrontato ad occhi chiusi.
The Good Road è il candidato indiano al Premio Oscar 2014 per il migliore film straniero.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta