Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
Nefasta è questa recente moda coincidente nella crisi di idee più totale che vuole rivisitare i classici Disney in versione proto-femminista (Maleficent) o dark (Into The Woods, Alice in Wonderland). Sarà un caso ma tutti i film che ho appena citato spaziano dal mediocre all'irricevibile, come si preannuncia il Dumbo (sarò stupido, ma non ho ancora capito come riusciranno a rendere live action un film composto da elefanti parlanti e bolle di sapone...) del mio (a questo punto meno) amato Tim Burton. Sulla carta e dai primi trailer, anche questo Cenerentola di Kenneth Branagh sembrava alla stregua dei già citati film, anche a causa del momento di crisi del regista in questione che, dopo i fasti shakespeariani passati (Hamlet e, soprattutto, Nel Bel Mezzo di Un Gelido Inverno) si era venduto alla Marvel con l'amato da molto, ma per me terribile, Thor. Eppure, con enorme sorpresa, il film è uno degli esempi love action migliori della Disney. Quasi niente di nuovo nella trama, tutto procede secondo gli adorabili e zuccherosi binari di sempre. È colui di cui si aveva paura a sorprendere: Branagh dà libero sfogo alla sua più ardita cinefilia e Cenerentola è un campionario di situazioni e scena che sembrano venire dritte dritte dalla Hollywood classica. Lo sfarzo maestoso dei costumi e delle scenografie di Dante Ferretti, il ballo ripreso come quello di Visconti nel Gattopardo, la magia del cinema che diventa quella di una svampita Fata Madrina (sorprendentemente non fastidiosa e, al contrario, divertente). Ma anche l'ossessione di invecchiare e sparire di una madrina Norma Desmond, impaurita dalla bellezza e dalla gentilezza di una Eva angelica e magnanima che le perdona anche l'azione più sadica. Ed é per questo che una bravissima e temibile Blanchett è illuminata come una femme fatale anni 40 e che Branagh riprende l'eterea e ottima Lily James con leggiadra e raffinata magnificenza facendoci tornare, per una volta sul serio, bambini e glorificando i sogni impressi su pellicola del cinema classico. Sogni che non devono mai trasformarsi in incubi, quindi nessuna amputazione inflitta alle sorelle, come nellla fiaba di Perrault, e nessuna punizione per la matrigna nella sceneggiatura di Chris Weitz, privandosi automaticamente di un minimo di coraggio che forse ci avrebbe per davvero fatto gridare al miracolo. Al contrario si segue pedissequamente la versione di padre Walt di sessantacinqie anni fa, in un'esaltazione della classicità del lieto fine. Mancheranno il coraggio e forse un po' di mordente, ma sperare nell'happy ending, a volte, fa proprio bene.
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