Regia di Franco Maresco vedi scheda film
Dopo la visione di questo film - documentario (non concluso ma impietoso) di Franco Maresco si è colti da grande amarezza: il regista stesso, preso dallo sconforto per le continue difficoltà e gli incidenti che accompagnarono le riprese, aveva abbandonato il set in preda a sconforto.
Solo in seguito Maresco aveva autorizzato l’amico Tatti Sanguineti a mettere insieme un po’ del materiale girato per presentarlo a Venezia, dove finalmente l’ovazione più lunga di tutta la manifestazione lo aveva ripagato almeno un po' della delusione, così come il Premio speciale della Giuria per la Sezione Orizzonti.
Va chiarito, prima di tutto, che il documentario, nonostante il titolo, non è un’opera su Berlusconi, o meglio non è solo su Berlusconi: ci mostra una serie di momenti della storia siciliana (ma anche italiana) degli ultimi sessant’anni e ci parla della sostanziale continuità che l’ha caratterizzata.
Questa è bene incarnata nella figura dell’ex barbiere palermitano Calogero Mira, detto Ciccio, indiscusso personaggio d’autorità del quartiere Brancaccio fin dal decennio 1950 – 1960, cioè fin da quando era iniziato il “sacco di Palermo”, con l’avallo più che interessato dei politici locali di area democristiana che avevano permesso la colossale speculazione edilizia che sfigurò la città.
Mira era stato abile a convogliare vastissimi consensi elettorali intorno ai politici collusi con la mafia di allora, delle cui richieste egli si faceva tramite e garante.
Lo stesso Ciccio, dopo la fine della prima repubblica, fiutato il mutamento, si era riciclato su posizioni berlusconiane, diventando uno degli artefici del consenso elettorale palermitano attorno al Cavaliere. Aveva utilizzato, a questo scopo, anche l’ingenuità assai sprovveduta degli elettori più giovani, illudendoli che le feste musicali del Brancaccio fossero una scorciatoia sulla strada del successo televisivo e aveva anche promosso l’arrivo a Palermo, da Napoli, di alcuni cantanti neomelodici - legati come è noto alla camorra -prima di finire in carcere.
Il ritratto del personaggio è veramente da grande regista: ne emerge una figura grottescamente ambigua e reticente, fosca, eppure banale e grigia, ben sottolineata dall’assenza di colore delle scene in cui si lascia intervistare:
Le interviste reticenti a Ciccio Mira costituiscono la struttura di collegamento degli altri episodi del film, che fin dall’inizio ci danno il quadro di una realtà tragi-comica, di cui, però difficilmente si riesce a ridere: un pensionato che si toglie la vita facendo esplodere col gas la palazzina in cui è il suo alloggio, terrorizzato dalla convinzione che, dopo la sconfitta elettorale di Berlusconi, gli sarà tolta la pensione; i neomelodici che si danno botte da orbi per rivendicare la paternità dell’inno a Berlusconi; raccolte di fondi per i mafiosi incarcerati (detti “ospiti dello stato”) che vengono lanciate con successo attraverso le TV locali; la chiara condanna, a prescindere, del mestiere di carabiniere; l’idea, purtroppo condivisa, che sia esistita una mafia buona (si chiamava, per dire, Stefano Bontade!), dispensatrice di giustizia, al tempo in cui venivano, invece, murati nei pilastri delle costruzioni giornalisti e chiunque volesse far luce sui delitti legati al malaffare…
L’effetto è, a dir poco, straniante e angoscioso: il mondo alla rovescia si materializza a poco a poco davanti ai nostri occhi, e ci fa piombare in un incubo dal quale non ci si riesce a svegliare, tanto che anche un banale incidente tecnico, occorso durante l’intervista (indimenticabile!) a Marcello dell’Utri, non può che farci pensare a un complotto diabolico.
A completare il quadro aggiungo che la nostra lingua italiana è ridotta a puro balbettio da analfabeti dalla quasi totalità dei protagonisti di queste brutte storie, utilissime per conoscere a fondo la realtà del nostro paese, attraverso la Sicilia, sineddoche di un tutto assai inquietante.
Occorre un bel po' di coraggio, ma il film è da vedere.
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