Regia di Mario Martone vedi scheda film
I fratelli Giacomo, Carlo e Paolina crescono reclusi nel palazzo di famiglia a Recanati, passando il tempo a studiare sotto l’occhio vigile del padre Monaldo. Non manca nulla: il natio borgo selvaggio, lo studio matto e disperatissimo, due genitori bigotti e opprimenti, il letterato Pietro Giordani che per primo intuisce le potenzialità del poeta, la procace figlia del cocchiere morta in giovane età, e “tutto il resto è noia” (ebbene sì, il copyright non ce l’ha Califano: la frase si trova nella lettera a Giordani del 30 aprile 1817). Dieci anni dopo siamo a Firenze (peccato aver saltato Pisa, forse l’unico posto dove Leopardi si sia trovato davvero bene), e anche qui c’è tutto quello che ci possiamo aspettare: il circolo liberale animato da Vieusseux, l’amico tombeur de femmes Antonio Ranieri, l’amore non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti (che in vecchiaia dichiarò a Matilde Serao “Mia cara, puzzava”). Infine, Napoli: l’allegria un po’ barbarica dei popolani, la passione per i gelati, il disfacimento fisico e la morte per colera. Consideravo Leopardi un personaggio eminentemente anticinematografico, la sua vita impossibile da filmare: cosicché la sorprendente adeguatezza fisica di Elio Germano mi provoca in primo luogo un senso di straniamento. Mi fa uno strano effetto sentirgli declamare La sera del dì di festa, L’infinito, Aspasia e La ginestra (oltretutto nella versione definitiva, quella che si trova nelle edizioni, non quella che risulta dai manoscritti) come fossero parole appena uscite dalla penna, perché fanno parte del bagaglio di ricordi scolastici di qualunque italiano. Trovo apprezzabili anche certe invenzioni kitsch: la messa in scena di Consalvo con due guerrieri medievali, la Natura che appare in forma di statua (che era anche la prima impressione dell’islandese nelle Operette morali: “Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua”), le conversazioni da salotto che ispirano il dialogo fra Tristano e un amico. Insomma: non vorrei sembrare irriverente e non credo che questa fosse l’intenzione dell’autore, ma è un film che mi ha divertito.
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