Regia di Mario Martone vedi scheda film
Un assoluto capolavoro. Peccato che gli stranieri non possano capirlo appieno, nella misura in cui non possono leggere Leopardi in lingua originale: altrimenti questo film avrebbe ricevuto ben altri premi, i massimi a livello mondiale.
Il soggetto è Leopardi: quindi non c’è bisogno di tanti preamboli, è uno dei soggetti più importanti e difficili che mai si possano toccare. Ebbene: il regista Martone, che ha scritto anche la sceneggiatura, riesce a non essere da meno del’immenso soggetto. E si badi bene: chi dice questo, si firma LaMettrie: costui è stato una delle fonti, per Leopardi moderne, più apprezzate da Leopardi stesso, per il materialismo, la denuncia della metafisica… Io però non sono leopardiano, pur riconoscendo i sommi meriti del citato autore, senza certo che debba essere io a rivangarli.
Sotto il profilo estetico, il film è perfetto: lo è per la fotografia soprattutto, ma anche per il montaggio e l’accompagnamento musicale. È splendida anche la recitazione: Germano è “favoloso”, come dice il titolo, nel rendere una parte tra le più difficili e intense che possano mai venire offerte a un attore.
Come sempre però, l’aspetto più importante è quello morale, cioè il messaggio che lascia. Qui il titanismo del protagonista è reso benissimo, soprattutto nella grande dignità con cui prende atto del fatto di non essere compreso dalla società a lui contemporanea, proprio perchè il mondo con cui ha a che fare è palesemente inferiore a lui. E qui il film rivela anche il suo valore di denuncia satirica e politica, proprio come Leopardi l’ha interpretata: lo squallore morale del presente, a Napoli, a Recanati e comunque altrove. I disonesti, i ladri, i disseminatori di falsità sono i soli che prosperano; coloro che invece promuovono la verità sono destinati all’emarginazione, proprio perché hanno questo pregio, che nel mondo però appare come un difetto. Questo è un grande riconoscimento del valore filosofico dell’opera del grande recanatese.
Logicamente questa verità è portata in modo più chiara contro la Chiesa cattolica: essa ero lo stato di cui era suddito, e il film ne mostra più che adeguatamente le gravissime colpe in termini di oscurantismo della verità, e quindi di favoreggiamento selettivo dell’ignoranza. La censura pontificia è in gran parte riassunta nel padre Monaldo, in particolare nello scontro a tavola con Pietro Giordani: tutti segni, già stranoti, di una chiusura mentale che soffoca quanto di buono c’è nell’uomo.
I risvolti psicologici sono resi alla perfezione: i bei rapporti con i fratelli, che cercano di sopravvivere nel modo migliore al ruolo di vittime di genitori estremamente cattolici; una madre odiosa, appunto; un padre che si barcamena, in modo psicopatologico e del tutto incoerente, tra due aspetti incompatibili: l’affetto reale verso i figli, e quello delle belle lettere, da una parte, e dall’altra l’amore verso un cattolicesimo retrivo e mortifero.
Il film ha poi lo strepitoso merito di mostrare la vita quotidiana di Leopardi, le sue piccole cose (il gelato…), gli affetti (di cui in anche si è parlato). Insomma le debolezze di Leopardi, che poi sono state le sue grandi sofferenze. Quelle di un personaggio modernissimo: moderno proprio perché non ha nascosto le sue emozioni, nel bene e nel male.
Il film attinge alla grande al testo leopardiano, e non mancano certo gli spunti: ma la sceneggiatura incastona tali contributi in modo eccellente.
Il film poi attinge ugualmente alla grande alla sua vita reale, come già detto: restituisce una versione realistica, una versione dunque che non è affidata solo ai testi dell’autore, ma anche a ciò che si può ricostruire della sua biografa. In tal senso, la scelta di Martone appare ancora più lodevole, perché privilegia momenti non tra i più importanti della produzione leopardiana: la gioventù e il periodo a Napoli.
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