Regia di Mario Martone vedi scheda film
Il Migliore, un film su Togliatti. La madre di Giuda, su Giuda Iscariota. Sono questi titoli, in Il regista di matrimoni, a contendersi il David di Donatello. Un film per ogni parrocchia del potere (perché «la destra - dice il regista Smamma al protagonista - non ha mai contato un ca**o nel cinema»). Due opere biografiche, perché «in Italia sono i morti che comandano». Sono passati 8 anni da quel film, e se tacciamo le «magnifiche sorti e progressive» parrocchiali, constatiamo che l’industria culturale s’è discostata dalla Storia ridotta ad albo di figurine, dall’ideologia semplificata a santino da fiction tv, solamente con i crucci etici e la resa spettacolare dell’epica mafiosa da asporto (il post Gomorra film) e con il carnevale culturale (La grande bellezza). Il giovane favoloso si confronta dunque con uno standard del nostro immaginario, con il format del biopic-con-attore-di-richiamo-che-s’impegna-(seriosamente-grottescamente-ridicolmente)-nei-costumi-del-morto-notevole-di-turno. E lo rivolta.
Perché, accostandosi alla figura di Leopardi, Martone sceglie un distacco teatrale - in dialogo con la sua versione delle Operette morali - cercando un realismo irrequieto, che smentisce l’ottusa superficie delle cose («non attribuite al mio stato quel che si deve al mio intelletto» urla Leopardi), un realismo astratto e frustrato dalla colonna sonora di Apparat (musicista tedesco, autore di uno degli album centrali dello scorso decennio elettronico, Orchestra of Bubbles con Ellen Allien), lacerato da prospettive immaginose, aperture fantastiche, squarci d’orrore interiore, e straniato nella recita di un Elio Germano che è sotto e (spesso) sopra le righe, sempre fuori dalla giusta, mortificante misura. Come Leopardi. Che sceglie di essere se stesso, di difendere la propria infelice e lucida visione del mondo contro riti e retoriche, contro lumi e ragioni di partiti e consorterie, contro le istruzioni per l’uso del mondo di famiglia e religione. «Il mio cervello non concepisce masse felici fatte da uomini infelici». Leopardi conosce i conflitti irrisolvibili del reale. E odia solo quel che comprende. Quel che riesce a vedere. E amare, persino: il padre padrone, la donna che l’umilia, chi lo circonda ridendo. Perché Il giovane favoloso è un racconto sull’Italia di ieri e di oggi, un biopic antiscolastico e insieme uno struggente compendio poetico, lontano dal romanzo storico e dalla biografia mélo. Ma soprattutto un film che non dimostra, ma nemmeno si limita a mostrare: scuote il suo realismo, e cerca, come il poeta, di vedere.
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