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Fury

Regia di David Ayer vedi scheda film

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La recensione su Fury

di supadany
7 stelle

«Gli ideali sono pacifici, è la storia a essere violenta».

Con Fury, viene scritta l’ennesima pagina cinematografica ambientata nella Seconda Guerra Mondiale, scegliendo un punto di vista che sposa una via di mezzo tra la declinazione autoriale e la resa spettacolare.

Considerando il nome del regista impegnato, David Ayer, un pezzo sorprendente, soprattutto se l’approccio è all’insegna della titubanza.

Germania 1945, se l’esercito tedesco è ormai alle corde, anche gli avamposti americani sono profondamente segnati dal conflitto. In una situazione di costante pericolo, Don Collier (Brad Pitt), con i suoi uomini e un carro armato, recluta lo spaesato Norman Ellison (Logan Lerman) e si avventura nel cuore delle linee nemiche.

Anche quando tutto sembra precipitare, questo ristretto manipolo di uomini non ha alcuna intenzione di indietreggiare, affrontando a viso aperto, e in inferiorità numerica, il nemico. 

 

Brad Pitt, Logan Lerman, Michael Peña, Shia LaBeouf

Fury (2014): Brad Pitt, Logan Lerman, Michael Peña, Shia LaBeouf

 

Dopo Bastardi senza gloria, Fury segna il ritorno di Brad Pitt in lotta contro i nazisti al crepuscolo del loro dominio ma soprattutto regala un David Ayer nuovo di zecca, fuori dall’amato poliziesco (La notte non aspetta, End of watch), nel quale si sente, anche se non se ne capisce il motivo, invincibile.

Nella fattispecie, il regista originario dell’Illinois si destreggia abilmente tra il microcosmo interno al tank e il mondo fuori, un perenne campo di battaglia dove l’unica distinzione in essere è tra il fuoco amico e nemico.

Emerge il cameratismo tra uomini resi duri, spesso esteriormente insensibili, da una guerra lunga e sanguinosa e il luogo chiuso, un’invivibile corazza protettiva che può trasformarsi rapidamente in una trappola infernale, ne amplifica i caratteri, nel bene così come nel male.

In parallelo, al di fuori del mezzo armato, vive di ostinato eroismo anche simbolico, con esagerazione nelle proporzioni tra buoni, pochi, e cattivi, una moltitudine, con un montaggio al cardiopalma che genera tensione emotiva.

Sono esagerazioni appartenenti a un film che alterna quindi il pensiero, soprattutto umano, al successivo coinvolgimento narrativo senza voler essere obbligatoriamente parametrato sulla realtà, giustificate dalla conseguente formulazione di personaggi pulsanti.

L’effetto è assecondato anche dalle caratterizzazioni dei singoli individui così come della famiglia creata, contiguamente promosse anche dal cast: Brad Pitt è in pieno feeling con il suo Wardaddy, esteriormente inflessibile ma con valori fondamentali cui non rinuncerebbe per nulla al mondo, Logan Lerman segna l’evoluzione da malcapitato a fautore del proprio destino, mentre Michael Pena, Shia LaBeouf e Jon Bernthal tratteggiano i contorni con i rispettivi caratteri, in prossimità delle corde richieste.

È grazie a questi uomini, a momenti chiave di buona resa scenica e all’attenzione disposta su alcuni simbolismi e comportamenti, se Fury trova una propria identità, temeraria e spavalda, tenendo da conto il punto di vista del singolo e del gruppo, con ostinazione, senza tergiversare troppo.

Fino all’ultimo respiro.

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