Regia di Thierry Poiraud, Benjamin Rocher vedi scheda film
Pensare, produrre e dirigere un horror, anzi, uno zombie movie, sul calcio è una follia per nulla scontata, e una attrazione davvero troppo ghiotta per essere rimandata.
Su segnalazione dell'amica Maghella proprio ieri, recupero il film, che tenevo tra i “prossimamente” e lo faccio finalmente mio.
Dai produttori del valido La Horde, un horror anomalo già nella durata: 119 minuti (non i 140 ufficializzati, ma comunque ben oltre i limiti abituali del genere), suddivisi in due tempi (diretti da due registi diversi: ideona fantastica, infatti a pensarci bene il film appare simpaticamente disomogeneo, circostanza che lo rende più attraente e ritmato) come un match vero e proprio (anche se di calcio - per fortuna - se ne vede davvero poco), aumentato del preambolo.
Questo per raccontarci di una delle squadre più forti e pagate della Francia arrivare nella più imboscata provincia, per disputare una partita di coppa di Francia contro una piccola ma orgogliosa squadretta che non ha nessuna intenzione di arrendersi agli idolatratati e strapagati eroi di una tifoseria al loro confronto sterminata.
Siamo come dicevo nella provincia più profonda, un paesaggio di boschi e paesi cinematograficamente inquietanti e attraenti quanto basta per non rimpiangere le cittadine dello sterminato interland statunitense tanto caro agli autori cult dell'horror come King o Barker, che riesce a divenire parte integrante e fondamentale per la riuscita di questa curiosa, a tratti irresistibile per quanto colma di cliché, opera prima sull'horror-calcio.
Vediamo la squadra in pullman che si accinge a raggiungere il piccolo centro di Caplongue, nel bel mezzo di una Francia nuclearizzata dove un medico riesce a “iniettare” sul giocatore più potente ed audace, le motivazioni per sconfiggere i blasonati avversari. Tra questi spicca una vecchia gloria nazionale ormai sulla via del pensionamento, Lorit, nato proprio a Caplongue e scappato per divenire una star nella capitale, e per questo considerato in loco un traditore. Ma soprattutto la nuova promessa del calcio avvenire, Djago, un extracomunitario “allevato” per divenire un mito, ora conteso da una grande squadra inglese ed in corso di divenire il nuovo astro strapagato di quel mondo spesso insulso, travisante e ammaliatore che è il calcio oggigiorno.
Seguiamo le vicissitudini di una giornalista un po' frustrata che viene umiliata dalla nuova promessa, e che a sua volta snobba la disponibilità offerta dal vecchio asso ormai vicino al ritiro, salvo poi innamorarsene.
Scopriamo quali sono le intricate vicende familiari di quest'ultimo appena giunto in loco, e soprattutto veniamo messi al corrente di quello che sta tragicamente (ma anche comicamente) succedendo dopo che la dose iniettata dal medico al giocatore di punta del Caplongue, si sta rivelando come una potente droga in grado di rendere i contagiati delle macchine di morte eruttanti dalla bocca un liquido melmoso e bianco che corrode e contagia ogni malcapitato.
In un campo invaso di fumogeni lanciati dalle tifoserie opposte, in cui spiccano nel Caplongue quattro sfigati piuttosto simpatici, si consuma la tragedia/farsa che scenograficamente rende benissimo l'atmosfera cupa dove tra le nebbie artificiali si stagliano figure sinistre che assalgono gli avversari e li contagiano, creando l'orda famelica che tutti noi conosciamo e abbiamo visto decine e decine di volte.
E poi discorsi da spogliatoio deliranti di un coach irresistibile, il manager che decide chi vendere e chi deve restare, lucrando su vite e destini con un cinismo esasperante che non ha nulla di inventato o fazioso; la rabbia per il tradimento di un'amicizia nata sul campo di calcio tra due promesse di cui solo una risulterà mantenuta, mentre l'altra si consumerà sotto forma di dipendenza da droghe e corrosa da un risentimento che diviene follia ossessiva.
Goal of the dead è il film horror che sogneremmo di veder girato e prodotto nel nostro paese senza per questo ricadere nello stantio di ambientazioni che si creano il vuoto attorno, come succede spesso (ma non sempre, per fortuna) nelle piccole produzioni nostrane, in cui è proprio l'ambientazione la prima vera falla di una voragine che ci travolge e lancia nel vuoto.
La provincia francese, lo abbiamo già visto con autori francofoni come Aja, si presta benissimo al genere, creando ambientazioni degne del filone carpenteriamo più ispirato.
Quindi lode al piccolo gustoso film, che non aggiunge nulla al filone, ma rivendica con ironia e sarcasmo certe scelte e perdite di personalità che la massa, sotto forma di tifoseria, arriva a procurarsi, perdendo completamente ogni capacità di giudizio e discernimento, e rendendo il gruppo un'amalgama senza carattere che si muove come l'orda di zombie, richiamata dall'istinto animalesco che azzera il cervello e la capacità di raziocinio e di autocritica.
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