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Via dalla pazza folla

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Via dalla pazza folla

di supadany
5 stelle

Già trasposto nel 1967 da John Schlesinger con ben altri esiti – la media voto presente su Filmtv.it parla da sola – il romanzo di Thomas Hardy “Via dalla pazza folla” trova una nuova versione cinematografica per mano del danese Thomas Vinterberg, rilanciato dagli elevati indici di gradimento de Il sospetto, dopo un periodo prolungato di scarsi riscontri critici.

Nonostante i nomi impegnati, che comprendono un cast importante, uno scrittore e sceneggiatore affermato qual è David Nicholls (One day) e la direttrice della fotografia Charlotte Bruus Christensen (Il sospetto, La ragazza del treno), e alcune qualità eloquenti, il risultato non è allineato alle aspettative, assumendo i connotati di un’occasione sprecata.

Inghilterra, 1870. Bathsheba Everdine (Carey Mulligan) è una giovane donna dallo spirito indipendente che, eredita un’importante attività agricola, attira le attenzioni di ben tre uomini: il laborioso, umile e premuroso Gabriel Oak (Matthias Schoenaerts), il facoltoso possidente William Boldwood (Michael Sheen) e l’affascinante soldato Frank Troy (Tom Sturridge).

In tempi e modi differenti, saranno tre figure molto importanti nella sua vita.

 

Carey Mulligan, Michael Sheen

Via dalla pazza folla (2015): Carey Mulligan, Michael Sheen

 

Una donna, tre uomini, un salto indietro nel tempo di circa centocinquanta anni e due ore di durata. Una sintesi brutale come un calcolo matematico che non ammette appelli, come questo film, algebricamente disposto senza uscite di carreggiata ma nemmeno acuti colossali, al punto da imbrigliare buona parte della potenziale linfa melò.

È comunque chiaro che non tutto venga dissipato. La linea narrativa è in bella vista, con una donna decisa negli affari e refrattaria a maritarsi anche di fronte alle migliori condizioni, economiche ma anche di stretto affetto, con un cuore ancora immacolato da ogni forma d’amore e con l’ineludibile rischio di capitolare, di fronte al fascino che non per forza conduce alla felicità.

La struttura è (inevitabilmente?) programmatica, con la fotografia a spiccare con maggiore energia, senza perdere mai l’occasione per farsi notare, tirata a lucido nella rappresentazione di paesaggi sterminati, mantenendo altrettanto desta l’attenzione quando si tratta di valorizzare le sfumature climatiche.

Una virtù legata allo sguardo che in fondo non aiuta l’espressione umana di una trama che vede il dramma costantemente pronto a sbucare da dietro l’angolo, mettendo a serio rischio la libertà e la felicità di una serie di soggetti, con l’amore destinato ad avere più destinazioni crudeli che soavi, ingabbiando lo spirito come se fosse un leopardo in gabbia.

In un contesto non istintivamente propositivo, anche gli interpreti hanno qualche stecca: Carey Mulligan riesce bene su alcune note ma è altrettanto carente su altre, incapace di coprire l’intero arco emotivo di Bathsheba, e un discorso analogo vale anche per Matthias Schoenaerts, più abituato a dar corpo a personaggi febbrili (Bullhead, Blood ties), mentre Tom Sturridge non cavalca pienamente le opportunità concesse dalla sua parte. Alla fine, il migliore del cast, e pure con un certo distacco, è Michael Sheen, un po’ grazie al personaggio insoddisfatto e tremendamente umano, un po’ per la sua capacità empatica, la più forte e candidata a emergere.

A cappello di tutto quanto si possa scrivere sull’opera, a prevalere è comunque un semplice dubbio: perché la scelta del regista è ricaduta proprio su Thomas Vinterberg?

Il tipo di operazione non sembra così incline alle sue corde - a oggi rimane un unicum - e il risultato, non propriamente da cestinare ma fin troppo compassato e schematico, somiglia a una lunga sequela di drammi, con momentanee aperture di rapsodie, legati faticosamente tra loro.

Così, nonostante sia piacevole imbattersi in film anacronistici rispetto alle regole di consumo odierne, Via dalla pazza folla non è quel che si definisce un modello ideale per riassaporare gusti dimenticati, per quanto tagliare questo traguardo sia obiettivamente arduo.

Ad ogni modo, tranquillamente accantonabile.

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