Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Carey Mulligan illumina un quadretto esteticamente e grammaticalmente impeccabile. La composizione cromatica, la disposizione di linee e pennellate che tracciano storia e soggetto, l'attenzione per i dettagli e i tagli di luce-oscurità, gli splendidi scenari bucolici e gli intermezzi notturni, la (posata) direzione delle curve attoriali, l'ariosa sincronizzazione sonora: l'opera(zione) dell'ex Dogma Thomas Vinterberg è un'esecuzione senza sbavature, una rappresentazione elegante, una confezione di pregio, uno sfoggio di tecnica educata. Ma esangue. Non pare possedere né trasmettere il sentimento che vibra, la passione che scuote, l'animo tormentato. Convenzionale nella forma e nel metodo nonché nel linguaggio, Via dalla pazza folla (targato BBC Films) soddisfa, pienamente, la visione di chi anela un bel racconto in una bella cornice. In questo senso, la metodologia applicata alla trasposizione del romanzo omonimo di Thomas Hardy è funzionale e vincente: la programmatica ricerca della corretta connessione narrativo-visiva si traduce in una messa in scena stilisticamente rigorosa quanto laccata. Tanto la superficie brilla di suoni e colori e (s)oggetti gradevoli tanto il contenuto è mera riproposizione, un affare dato per scontato. A conti fatti, il regista, senza slancio alcuno (l'unico sussulto - la sequenza del "suicidio" collettivo del gregge di pecore - dimostra come avrebbe dovuto osare di più), sceglie - e si accontenta - di aderire, diligentemente, alla bellezza e alla modernità del testo hardyiano: il ritratto di Bathsheba Everdene - uno di quelli perfetti in ambienti sofisticati - sta nella storia dietro il dipinto, nelle parole e nei dialoghi e nelle pieghe che (già) conosciamo, nel meccanico susseguirsi degli eventi. Alla stessa maniera, quindi, tutte le istanze femminili, che la figura di questa donna fiera, indipendente ma non esente da fragilità, errori e debolezze porta con sé emergono come candidi blocchi di ghiaccio sul mare. Certo la ripresa è indubbiamente ottima, lo stesso dicasi per la post-produzione che completa un lavoro senz'altro ben fatto, piacevole alla vista (scenografie, fotografia, costumi, attori: l'intero pacchetto è, oggettivamente, bello), ma incapace di sondare e restituire le ambiguità, le profondità del paesaggio umano. Che restano sulla carta. Costrette in quest'ottica, di conseguenza, le interpretazioni degli attori: il grande Michael Sheen brilla di luce propria, Tom Sturridge s'adegua al copione, Matthias Schoenaerts ha occhi intensi, Juno Temple non incide. Ma il film grava, ovviamente, sulle spalle della bravissima attrice inglese, sul suo sguardo espressivo carico di sfumature (e perché no, anche sulla sua melodiosa voce già apprezzata altrove): una prova di carattere sebbene forzata, che nobilita, solo in parte, il film.
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