Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Nell’adattare Via dalla pazza folla di Thomas Hardy (1874), Vinterberg ci fornisce un’altra prova del suo intelligente eclettismo, ovvero di quella capacità di individuare e scegliere sempre il registro più adatto, già palesata da Dear Wendy (escluso) in poi. Nel restituire la vicenda di Bathsheba Everdene nei suoi rapporti di potere e capitale (affettivo, economico), dipendenza e indipendenza in un’Inghilterra (cuore della modernità e paradigma di un’universalità occidentale) a smaccata matrice maschilista, regista e sceneggiatore accettano di compiere un passo indietro e attenersi con fedeltà al testo. Libero da compiti drammaturgici, Vinterberg può concentrarsi su una regia sobria, attenta al dettaglio, ma mai dimentica dello scorcio paesaggista, accompagnato da partiture di archi per campi aperti di prammatica. La messa in scena ha così il respiro dell’affresco epocale, impreziosito da una cura simbolica maniacale per i cromatismi (il più immediato: l’uniforme rosso fuoco del sergente Troy) e per scene di massa che, poste in ideale sequenza, compongono il manuale estetico di un’epoca. Le carenze espressive e carismatiche di Carey Mulligan - pessima scelta per un personaggio di donna dall’ardore spiccato, quasi oltraggioso - passano quasi in secondo piano, controbilanciate dai monologhi del magnetico e sfaccettato Michael Sheen. Vinterberg firma un grande esercizio di stile, rendendo giustizia a Hardy.
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