Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
I supereroi sono una questione esclusivamente americana. A differenza del western, genere americano per eccellenza, il superheroe movie non riesce nelle sue riletture europee a risemantizzarsi con efficacia. L’immaginario resta sterile e stucchevole, mentre i contenuti vengono tematizzati e sceneggiati telefonicamente come nel migliore cinema bis degli anni ’70. O almeno, questo è quello che putroppo succede con Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores.
La buonafede alla base del progetto c’è, ma non si vede, anche se il film, in linea con i precedenti del regista milanese, ci conferma una traiettoria autoriale che non è mai venuta meno. Ci sono diversi difetti, soprattutto formali, a causa dei quali la visione del film ci risulta fredda e impersonale. Per esempio, se escludiamo Valeria Golino, efficace come sempre, e Fabrizio Bentivoglio, un po’ sopra le righe, ma molto divertente, il resto degli attori, soprattutto i più giovani, non si possono sentire. Mi spiace per il paragone, ma a tratti sembra di vedere una recita scolastica. La voce e l’impostazione tonale erano da giochi in cortile, mentre risulta abbastanza azzeccata la scelta estetica dei piccoli protagonisti. L’affettazione delle loro battute unitamente a una modulazione tonale amatoriale finisce per rendere tutto puerile e inascoltabile.
Se la cava invece benissimo il protagonista, Ludovico Girardello, classe 2001 da Vittorio Veneto. Pur con una padronanza della voce ancora immatura sa reggere fino in fondo la parte e ha il coraggio di prestarsi a diverse scene di nudo per tutta la prima parte del film. Questo è infatti uno degli aspetti positivi della pellicola, un’audacia con cui Salvatores vince senza risultare morboso né gratuito. Come in Educazione Siberiana (2013), la nudità diventa mezzo di espressione di sé e socialità, il ponte con cui collegarsi all’altro e a se stesso, soprattutto in un’età, l’adolescenza, in cui il corpo a volte ha la meglio su testa e cuore, a causa dell’inesperienza del giovane ancora incapace di gestire i propri stimoli e le proprie potenzialità.
Reggono bene anche alcuni paralleli tra contenuto e forma. La “mostruosità” di cui si autoaccusa il giovane protagonista è quella distorta con cui gli altri lo vedono, così come il desiderio di sparire diventa poi una realtà che in parte handicapizza il ragazzo già di suo parecchio frustrato e in crisi con il mondo famigliare e sociale. Allo stesso modo, i “poteri”, ricordano le grandi responsabilità di Spiderman (2002), citato fin dall’inizio del film, e di conseguenza una presa di coscienza del proprio ruolo nel mondo.
Purtroppo è tutto molto sterile e freddo, veloce e poco partecipato. Anche l’ambientazione triestina, i luoghi, esterni e interni, sono freddi, schematici e spersonalizzati. Il minimalismo qui non aiuta a ricreare fuori dal personaggio la sua psiche e la sua anima, ma lo frena e lo zavorra. Per non parlare dei cattivi russi: tutto molto stereotipato, certo, come un buon fumetto, ma il cinema di Salvatores, che resta uno dei migliori in assoluto, deve andare oltre.
Resta un spettacolo totalmente per ragazzi e credo che la facile lettura del film, sia da un punto di vista contenutistico che linguistico, sia tale per permettere una miglior ricezione del prodotto tra i più giovani. Tant’è che parliamo anche di un albo a fumetti e di una novelization, di un marchio che può diventare franchise e tornare in futuro per un sequel di cui non si sente la necessità. Anche se sarebbe bello rivedere Ludovico Girardello di nuovo nei “panni” del ragazzino buffo e imbranato che lo ha proiettato nel mondo cinematografico italiano. Chissà cosa ne farebbe Bertolucci.
Siamo comunque molto lontani da Educazione siberiana e da Io non ho paura (2003), i due capolavori recenti di Salvatores, ma Il ragazzo invisibile continua quella rassegna di preadolescenza, adolescenza e giovinezza che il regista sa sempre raccontare con tocchi di inaspettata empatia e libertà tematica. Da Michele Amitrano e Mattia Di Pierro del cult tratto da Ammaniti, passando per l’ottimo Alvaro Caleca di Come di comanda (2008) e Arnas Fedaravicius di Educazione siberiana, i giovani protagonisti di Salvatores, a cui i vestiti vanno stretti, sono il corpo acerbo del blocco sociale più sclerotizzato del nuovo millennio. Impavidi, iperedonisti, iperviziati ed iperprotetti, senza disciplina e con la totale libertà ad accedere a qualsiasi mondo grazie alla rete, gli adolescenti vengono raccontati da Salvatores più archetipalmente che socialmente, senza per questo escluderne una psicologizzazione adeguata ed efficace. Il ragazzo invisibile, è uno di loro. Il cinema di Salvatore non più. Deve tornare archetipale prima di trasformarsi in qualcosa di simile alla fiction televisiva.
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