Regia di Morten Tyldum vedi scheda film
Film impeccabile, si direbbe d’istinto, e forse anche con soddisfazione, guardando The Imitation Game assieme a spettatori di varia specie: quelli colti, magari anche abituati ad un certo cinema che racconta storie inconsuete e degne d’una messinscena d’alto profilo; e quelli con meno sovrastrutture, onestamente suggestionati dalla grande storia di cui sopra e tutto sommato interessati a saperne di più per pura curiosità. Grosso spettacolo per le masse pensanti, direi un intrattenimento intelligente sulla scia di una certa tendenza del recente cinema britannico: non è un caso che, nelle prime scene, nel film capiti la voce del re che dichiara guerra, un trait d’union con Il discorso del re di cui è un’ideale appendice e con cui condivide il dominus industriale.
Alias Harvey Weinstein, che l’ha scelto come testa di serie per gli Oscar sulla base di tre ingredienti: affidabilità delle maestranze anglosassone, storia sconosciuta e pazzesca, interpretazioni da manuale. Ora, i tre elementi sono indubbiamente forti: la ricostruzione storica è ineccepibile, la storia, almeno sulla carta, è intrigante ed avvincente, gli attori fanno il loro. Tutto bene, tutto a posto, tutti a casa contenti: come e perché dir male a questo film?
Però The Imitation Game ha un grosso problema: è un film piatto, senza un volo né picchi di tensione, che scorre via placido ed inoffensivo come la visione di un film da domenica pomeriggio, sotto le coperte e con una tazza di tè sul comodino, mentre fuori piove. Mi pare che la storia, di per sé bellissima (però basta con questi enfatici “tratto da una storia vera”), sia soffocata dall’accademismo di una messinscena inappuntabile e prevedibile e da un tipo di narrazione che solo apparentemente sembra creativo (i flashback incrociati e verso il finale una evitabilissima voce over).
Lo stesso Benedict Cumbertach, pur senza eccessi o manierismi, non entusiasma al di là della stima che gli si ripone spontaneamente ed è forse meglio di lui Keira Knightley in un ruolo di supporto che è un po’ la rassicurante sintesi del suo percorso finora. Per non parlare di Alexandre Desplat che propone quasi sempre lo stesso tema. Più scontato che solido, più con una confezione che con un suo stile riconoscibile, più didattico che affascinante, è un film interessante per ciò che dice ma non per come lo dice (niente di nuovo, niente di sorprendente, niente di stuzzicante).
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