Regia di Emir Kusturica vedi scheda film
In piena guerra nei Balcani, Kosta fa il lattaio per l’esercito. Ogni mattina fa la sponda tra una postazione militare e la fattoria in cui vive con Milena, una giovane donna ex campionessa nazionale di ginnastica artistica, e l’anziana madre. In casa di Milena si attende l’arrivo del fratello Zaga, arruolato nella Legione Straniera e mandato in Afghanistan. Per allietare l’arrivo di Zaga, Milena pensa bene di trovarle una sposa e, rivolgendosi a due lestofanti che trafficano esseri umani, rimedia una donna italiana, su cui aleggia un’aria di maledizione a causa di una storia finita male con un colonnello britannico. Con l’intenzione di celebrare anche le sue nozze con Kosta durante lo stesso giorno, Milena porta la donna in fattoria ma ben presto diventa chiaro come la scelta sia stata inopportuna. Con il tenero sentimento che sfiora tra l’italiana e lo sfortunato (e naif) Kosta, arriveranno anche gli inglesi intenzionati a riportare la donna al cospetto di chi la desidera viva o morta.
Rifacendosi a tre storie realmente accadute e ricorrendo a un uso sfrenato della fantasia, Emir Kusturica ritrova la voglia di giocare con i generi e imbastisce un’opera che ha il sapore della favola russa. Tenendo saldi i principi del caro e vecchio strutturalismo, On the Milky Road presenta tutti gli archetipi della favola: da un lato si ha il protagonista, Kosta, e dall’altro lato l’oggetto “Sposa”, ovvero colei che lo porterà a sfidare l’antagonista, rappresentato dal colonnello inglese e dai suoi uomini. In mezzo a loro si muovono poi tutta una schiera di aiutanti e oppositori, che sono ora umani ora animali.
Sin dalla sequenza di apertura, una delle più particolari mai girate da Kusturica, si evince come gli animali con i loro comportamenti antropomorfizzati siano destinati a giocare un ruolo chiave. Un falco predatore, un asinello, dei serpenti e delle pecore, vengono assurti al ruolo di personaggio e determinano il destino dei protagonisti. Con toni ironici e musiche (balcaniche) spesso strabordanti (Kosta è un musicista) e all’apparenza in contrasto con le immagini, Kusturica si diverte a giocare anche con le immagini, omaggiando i vecchi film muti dei primi del Novecento (come nella sequenza in cui Kosta scruta con un binocolo la Sposa prendere dell’acqua dal pozzo) e alterando i piani della narrazione (simbolica è la scena in cui i due lestofanti osservano in uno schermo in bianco e nero di una telecamera a circuito chiuso la Sposa mentre guarda un vecchio film in bianco e nero, facendo entrare il film nel personaggio con una sovrapposizione di immagini).
Molto spesso il fantasy prende il sopravvento sulla drammaticità della storia: nella loro fuga, Kosta e la Sposa si salvano grazie a un salto verso l’alto da un grande albero o da un salto verso il basso in una profonda e rocciosa cascata. Che sia fattibile o meno al regista non interessa. La credulità è sospesa e il racconto procede trovando una dimensione verticale inattesa: che sia verso l’alto o che sia verso il basso, la verticalità diventa allegorica della sfida con il destino, che porta i personaggi o verso la salvezza o verso il baratro. Non a caso la verticalità ritorna nell’epilogo, quando scendere da una montagna porta verso un campo minato senza speranze. Nel gioco dei simboli o dei rimandi allegorici, l’acqua assume un posto di grande rilievo: origine della vita, l’acqua e le sue varie forme (un pozzo, un fiume, uno stagno) donano ossigeno e respiro ai due protagonisti, facendoli rinascere ogni volta con una via di fuga.
Particolare, si diceva prima, è l’uso che, dapprima in maniera circense, viene fatto. La personalità di Kosta si riflette in quella del falco pellegrino con cui ha stretto amicizia e in quella dell’asino che usa per trasportare il latte. Attento, osservatore, perspicace ma anche testardo, Kosta è al pari loro un animale che ha bisogno solo di essere amato e ammaestrato all’amore. La guerra lo ha reso diverso da come ora prima: tocca a qualcuno che in lui si riconosce far vibrare nuovamente le corde della sua esistenza. Mentre poi una farfalla è sinonimo di salvezza, è interessante come Kusturica ribalti il ruolo classico affidato dalla tradizione ad altre due specie animali: il serpente e le pecore. L’immagine che restituisce è quella del serpente “biblico” (saggio), che interviene per ben due volte in difesa di Kosta, e delle pecore non come portatrici di pecunia, ricchezza e fortuna, ma come delatrici di dolore e sofferenza.
Girato da togliere il fiato (le sequenze aeree sono tanto estetiche quanto funzionali al racconto) e montato in maniera folle, fuori da ogni schema logico, On the Milky Road piange sulle conseguenze della guerra ma lo fa con il sorriso e il grottesco, sottolineando come anche nella peggiore delle situazioni si possa trovare tempo per far fiorire sentimenti puri e inoppugnabili, che nessuna arma può stroncare. Il lieto fine però non è assicurato. O forse sì: dipende da che punto di vista si sceglie di interpretare la sequenza finale, che metaforicamente invita a mettere una pietra sopra al passato di sangue di una terra inutilmente martoriata per anni e a saper aspettare il momento giusto. Ottima la prova di Monica Bellucci, che recitando in serbo non discredita il personaggio e lo rende credibile ed emotivamente commovente.
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