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Cannibal

Regia di Marian Dora vedi scheda film

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La recensione su Cannibal

di EightAndHalf
4 stelle

Premessa: ringrazio @maghella per la curiosa indicazione di questo film, che ho visionato come sfida a me stesso, essendo particolarmente interessato alla messa in scena della violenza e dell'oscenità cinematografica come mezzi per affrontare tematiche estreme considerate tabù. 

Ci sono due modi per cercare di fuggire dal "fuori", dal mondo: sfuggire lasciandosi andare ai piacere della carne e della droga, futili e insoddisfacenti sotterfugi, assai brevi; oppure lasciarsi andare alla profondità dell'illusione, al sogno, a una realtà alternativa. Nel film di Marian Dora, artista sconosciuto in Italia e particolarmente portato, secondo i titoli della sua filmografia, alla provocazione visiva, il protagonista ("The Man" nei titoli di coda) cerca di realizzare prima una fuga nell'istintualità e nell'animalesco, ma poi si accorge che in qualche modo si tratta di un ibrido, un miscuglio fra l'illusione della carne e l'illusione del sogno. Il rapporto che si viene a creare fra i due protagonisti (The Man e "The Flesh", nei titoli di coda) è malsano e sconvolgente, contemporaneamente carnale e compassionevole (almeno in un senso), e la sfida del regista è la ricerca di un'estrema e improbabile pietas nei momenti più estremi e violenti, visivamente insostenibili, e questa pietas è ottenuta (non proprio efficacemente) da una musica spiazzante e bizzarra, che cerca con tutta sé stessa di dare un tono alternativo alle immagini. Ma le pretese del regista forse sono troppo alte.
L'incipit è molto particolare, il racconto di una fiaba a un bambino, un'innocenza (ricorrente nella prima parte) che a una lettura superficiale si pone in antitesi con la violenza finale, ma che può anche stare a indicare un'ingenuità dimentica e desiderata, un annullamento di quella sofferenza dell'uomo moderno che il protagonista sembra incarnare. Dopo moltissimi fallimenti a livello dei rapporti interpersonali (moltissimi dei suoi interlocutori si allontanano da lui, alla fine di qualche conversazione che noi mai sentiamo), The Man cerca il conforto prima nel rapporto virtuale, poi in un rapporto più profondo: l'illusione onirico-sessuale di "contenere" un corpo, di raggiungere l'atto estremo del possesso, dell'unione. E quale trovata migliore se non il cannibalismo? "You'll become part of my body". 
Se nella prima parte abbiamo quindi l'immersione nella solitudine esistenziale di quest'uomo, che, nell'età adulta, soffre della lontananza da altri esseri umani, ecco che dopo l'incontro con The Flesh cerca di trovare il contatto più intimo che esista, e che necessariamente sottende la morte. Trasportando a estreme visioni lo spettatore, Dora aspira a ritrovare incubi arcani, gli stessi incubi che avrebbero scosso Bosch (citato in alcune immagini soffuse all'inizio, il "Trittico delle Delizie") nel Medioevo, o i medici ricercatori dell'Illuminismo (alcuni dipinti sei-settecenteschi), il che può anche essere un punto di confronto fra un modo razionale di osservare la vicenda che stiamo per vedere e un metodo assolutamente emozionale, che ci porta al disgusto e alla stizza. Pretese davvero troppo alte per un film che dall'altra parte, nella sua totale incapacità evocativa, mette in scena proprio tutto, dall'evirazione (che è lacerazione della carne come la sofferenza è lacerazione dell'anima) a un incubo necrofago alla Greenaway, ma senza alcuna estetica kitsch. 
Il punto di vista di Dora è quello del dettaglio: i corpi sono ispezionati tutti, come se il nostro punto di vista fosse sadicamente messo in linea con quello del desiderio voyeur del protagonista (che si nutre anche dell'immagine di The Flesh attraverso la ripresa dei loro incontri nella clausura di una lurida stanza illuminata da candele). Simile contestualizzazione però è davvero troppo, e non riesce a lasciare tanta inquietudine quanta vorrebbe (specie nei rari casi in cui gli attori si esprimono con la loro imbarazzante dizione: non sembra una trovata filosofica o stilistica quella di ridurre i dialoghi all'osso), tirando per le lunghe le deliranti scene di macelleria finale e con un ultima imbarazzante sequenza in cui risentiamo l'ingenuità e l'innocenza iniziale. Non v'è dubbio che qui vada apprezzato il tentativo di dare un certo spessore alla messa in scena della violenza: non siamo certo ai bassi livelli dell'orrore pedofilo di "A Serbian Film". Però non raggiungiamo neanche le vette orrorifiche-esistenziali di von Trier in "Antichrist". Evitabile, a meno che si vogliano vedere degli sporchi effetti speciali molto ben fatti.

P.S. Purtroppo, esistono film anche più violenti di questo, benché siano, se possibile, ancora più gratuiti nella messa in scena. Assolutamente insostenibile per esempio la trilogia di "August Underground" di Fred Vogel, in particolare "August Underground's Mordum", e l'horror pornografico dei vomit gore di Lucifer Valentine ("Slaughtered Vomit Dolls", "ReGOREgitated Sacrifice", "Slow Torture Puke Chamber"), pellicole fortunatamente nascoste e poco note, l'estremo inoltrepassabile della sopportazione visiva.

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