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Il segno di Venere

Regia di Dino Risi vedi scheda film

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La recensione su Il segno di Venere

di obyone
7 stelle

 

 

A 99 anni e 3/4 l'emerita Accademia del Cinema Italiano ha insignito FRANCA VALERI del David di Donatello per la prolifica carriera di attrice e autrice. L'indecisione è albergata nel cuore del direttivo per parecchi anni ma la signora Valeri ha tenuto duro, come si addice ad un'infaticabile combattere, finché l'Academy nostrana ha partorito il topolino che le consegna l'imperitura gloria terrena. A pensar male verrebbe da bisbigliare che la decisione sia stata presa in zona Cesarini cosicché, se non glielo avesse concesso il corpo centenario, sarebbe stato il virus a impedirle di ritirare il premio. Con le Poste Italiane la statuetta potrebbe arrivare in casa Valeri giusto giusto per il centesimo compleanno! Quello mio si intende! Sempre che qualche zelante funzionario, scambiandolo per vero, non mandi il bronzeo pastore direttamente al Bargello. Sto facendo dell'ironia: quella che la signora non farebbe mai, grossolana e priva di stile. Franca Valeri è stata un'artista troppo intelligente e con una personalità troppo spiccata per l'industria cinematografica italiana. Parlo al passato perché il cinema l'ha persa molto tempo fa. Qualcuno potrebbe riconoscerle l'epiteto di 'bellezza alternativa". Nessuno può contestarle l'ironia sofisticata e tagliente che il teatro ha saputo valorizzare più di quanto non abbia fatto la settima arte. Io, poi, che sono un profano e non ho potuto ammirarla a teatro e, nemmeno, in quei pochi film, ormai lontani, e forse poco seducenti agli occhi della modernità, farò sicuramente rabbrividire gli estimatori dell'attrice milanese dicendo che, per me, Franca Valeri è un po' Babbo Natale. Una dispensatrice di soffici e burrosi versetti che attendevo, piccino, con trepidante impazienza, insieme alla fetta di pandoro spolverata di "zucchero affilato". Ero piccolo e tutto era più bello persino la reclame alla tv.

 

 

Al di là del ricordo fugace il modo più opportuno di rimembrare il lavoro della "signorina snob" è quello di riscoprirne l'attività, magari con un film, magari con un autore come Dino Risi con il quale collaborò in un paio di occasioni. "Il segno di Venere" del 1955 è, forse, l'esempio che esplica con maggior precisione i motivi del distacco tra il cinema e Franca Valeri. Nell'epoca delle maggiorate era già, di per sé, un vanto ottenere un ruolo da protagonista. Ne era consapevole. Diventare una diva senza curve adeguate e bellezza da vendere era semplicemente fuori discussione. Il cinema popolare reclamava ideali di bellezza estremi, il teatro, forse, una maggior maturità e la capacità di soggiogare il palco ed un pubblico più preparato. L'anatroccolo Cesira, che Valeri interpreta nel film di Risi, è una donna che ha difficoltà ad affermarsi e a trovare un marito. Cesira, pur in un contesto molto diverso, è l'alter ego dell'autrice con la quale condivide le difficoltà di essere una donna normale in un mondo di uomini superficiali. Franca Valeri scrisse la storia insieme a Luigi Comencini che doveva essere il regista, prima che il progetto passasse di mano e togliesse a Cesira la centralità nella narrazione. La storia fu rimaneggiata per dare spazio al personaggio della cugina Agnese (Sophia Loren), ben più vendibile agli italiani. Cesira è ospite dello zio e della cugina a Roma. Ha un lavoro e spera ancora nell'amore nonostante l'età non le sorrida. La cugina, a contrario, è giovanissima, formosa e attraente, una vera calamita per i maschi. Ciò che, però, Agnese non ha è l'autonomia di fare come crede. Agnese deve aspettare l'uomo prescelto, senza lavorare, per passare da una proprietà all'altra, dal padre al marito, condizione inaccettabile per la milanese che, per credere troppo all'amore, rischia di rimanere zitella.

La pellicola è un amaro spaccato della condizione femminile dal quale ne escono tutti con le ossa rotte. Cesira rimane delusa da ogni rapporto tessuto. Ogni uomo con cui civetta le preferisce qualcun'altra, per interesse o per attrazione sessuale. Nessuno capisce il suo desiderio d'amare, tanto meno la sua indipendenza intellettuale. Agnese è attraversata dalla vita e alla fine si sposa per riparazione e non in libertà. Ma la dignità della famiglia è salva ed e ciò che conta. Gli uomini, invece, si possono definire "ordinari" rubando una battuta alla Cesira, una di quelle stilettate che solo Franca Valeri poteva produrre. Il poeta Alessio Spano (Vittorio De Sica) è un poco di buono la cui vera abilità è quella di trarre profitto dalla donna di turno; il giovane Romolo Proietti (Alberto Sordi) è un mammone senza polso che dimostra la propria caratura al primo ostacolo; il Bolognini (Raf Vallone) incarna le fantasie sessuali del maschio italico che preferirà sempre una donna bella ad una intelligente. Ma in fondo non è colpa sua. È fatto così e non gli si può chiedere di più, come a tutto il genere maschile; infine il fotografo Mario (Peppino De Filippo) racimola la figura, poco edificante, del vecchio babbione che vorrebbe piantar chiodo nell'intonaco fresco... L'analisi sociale è preziosa e non mancano affinità con il presente mentre il canovaccio narrativo pone troppa enfasi sui comprimari perdendo il filo e spezzando il ritmo. Si indulge troppo sui siparietti superflui tra Sordi e De Filippo, benché, in parte, funzionali ad inquadrare il personaggio del Proietti. Ciò facendo si toglie spazio alla romantica ma moderna visione del mondo della Cesira che deve essere stata indigesta non solo ai maschi del film ma anche alle donne dell'epoca. Quest'ultime non avevano ancora incamerato il cambiamento epocale che andava profilandosi e rimanevano ancorate al sospetto verso le donne colte ed intelligenti, un sospetto che si specchia con feroce fermezza nella reazionaria zia Tina (Tina Pica). È proprio nei battibecchi tra Tina e Cesira che si scontrano epoche diverse di pensiero. Entrambe zitelle ma diametralmente opposte nel concepire il ruolo sociale femminile. La parte migliore della pellicola invece è affidata alle sagaci battute della Cesira, farina di un sacco sempre colmo che ha fatto la fortuna di Franca Valeri fino ai giorni di oggi che la vedono premiata dal postino. Sono certo che al suono del portalettere la signora Franca aprirà l'uscio e con misurata compostezza apostroferà la statuina con la salace arguzia di sempre. E con distacco sublime posizionerà quel premio ritardatario su una mensola a memoria di un talento che non ha bisogno di riconoscimenti ma che necessita di raccontare il passato al presente. Di quel premio in fondo non ha mai avuto bisogno. Lei, mezza ebrea, che visse nascosta durante la Guerra per fuggire ai rastrellamenti tedeschi, lei che non vide per tre anni padre e fratello esuli in Svizzera, lei che vide i corpi penzolare dalla forca il 28 aprile 1945 ha raggiunto il sufficiente distacco per non trasalire al suono di un campanello e non curarsi troppo di un corpo freddo e inanimato.

 

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Franca Valeri

I cuori infranti (1963): Franca Valeri

 

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