Regia di Michalis Konstantatos vedi scheda film
Makis (Christos Sapuontzis) è un uomo sulla cinquantina che gestisce un mini market fornito un po’ di tutto. Sistemare tutti i giorni la merce nello scaffale, guardare il viavai delle persone da dentro il negozio e tirare avanti un matrimonio per fredda monotonia non è il massimo dalla vita. Maria (Eleftheria Komi) è una donna che sta facendo praticantato per diventare avvocato. È spesso in giro per gli uffici a fare file, passa il tempo libero nei centri commerciali ed appaga i suoi istinti sessuali con chi capita. Jimmy (Nicholas Vlachakis) è un liceale appartenente ad una famiglia molto ricca. I vizi e l’agiatezza sembrano averlo allontanato dal trasporto sincero dei sentimenti. I tre hanno poco in comune, eppure incanaleranno le rispettive vite facendo esplodere insieme tutte le insoddisfazioni che portano dentro.
“La crisi economica spiegata a chi non la conosce”. Potrebbe essere questo il titolo ipotetico di un convegno dedicato al cinema greco contemporaneo, a tanti di quei film che in questi ultimi anni stanno ragionando sulle ferite aperte del loro paese. Con l’importante precisazione di farlo portando la macchina cinema al limite delle proprie potenzialità stilistiche, preferendo l’astrazione ellittica al piglio più strettamente militante. Detto altrimenti, piuttosto che fare delle descrizioni “veriste” (cosa di cui è più incline il "nuovo" cinema rumeno) su delle vite messe sul lastrico dalla crisi incipiente, di ragionare sul rapporto di causa effetto tra ciò che si decide altrove in un tempo dilazionato e quello che succede in concreto qui e ora (alla Ken Loach, per intenderci), si preferisce procedere per ellissi narrative che evocano sottotesti da interpretare, di ragionare sulla destrutturazione del linguaggio e sull’immaginario che cambia sempre pelle e padrone. Quasi sempre caratterizzando la regia con uno stile asciutto, freddo, privato di calore e colore, addirittura anti narrativa. Così facendo, la crisi economica si lega più propriamente ad una crisi etica della società più in generale e i valori che la reggono si ribaltano in disvalori che servono allo scopo di riempire vuoti esistenziali, deficienze sentimentali e derive anaffettive.
In questo quadro “poetico”, “Luton” di Michalis Kostantatos trova il suo posto d’onore attraverso una messinscena che fa del male di vivere e della necessità di trovarvi un rimedio nella produzione di emozioni telluriche, due facce di una stessa medaglia. Questo aspetto è reso molto bene da una regia che fa ampio uso di campi fissi anche abbastanza lunghi. Avvolte si ha come l’impressione che la macchina da presa venga appositamente dimenticata accesa sul luogo dell’azione, intenta a catturare qualunque cosa passi nell’obbiettivo, senza preoccuparsi più di tanto della forma e del contenuto assunti dall’inquadratura, finanche di spostarsi quando qualcosa ostruisce la linearità del campo visivo. Questo espediente stilistico serve ad accrescere il senso di immobilismo e di precarietà emotiva che avvolge la vita dei protagonisti (e non solo), finendo per legare la noia che li opprime con la violenza sadica che serve a ridargli ossigeno vitale. La fissità dell’obiettivo della macchina da presa vuole coincidere precisamente con l’apatia valoriale registrata dall’inquadratura, che in questo modo può ospitare indifferentemente qualsiasi tipo di comportamento e proiettare l’idea che tra di loro, questi comportamenti, sorretti dalla noia o alimentati dalla violenza che siano sono assolutamente sovrapponibili e complementari.
I tre protagonisti provengono da mondi differenti ed ognuno è portatore dei (dis)valori prodotti dalla propria estrazione sociale. Makis è un commerciante che si è appiattito nella sua condizione piccolo-borghese. La monotonia del giorno per giorno lo ha come mummificato in uno spazio amorfo dal quale non riesce ad uscire, anestetizzandogli ogni slancio emotivo. Cerca nella seduzione voyeuristica un ancora di salvezza. Maria fa pratica per accelerare la sua ascesi sociale, intanto fa code lunghissime per aspettare il proprio turno e consuma sesso con libidinosa abitudine. Cammina sempre veloce ma sta sempre allo stesso punto. Cerca nella sopraffazione sugli altri un modo per passare avanti più in fretta. Jimmy è il tipico figlio della buona borghesia cittadina. Può avere tutto ma proprio per questo sembra non bastargli mai niente. L’abbondanza lo ha reso schiavo delle emozioni forti, la noia ha trasformato il male di vivere in rabbia disordinata. Cerca nell’eccesso lo sfogo più adatto per le sue represse insoddisfazioni.
Tre personaggi a diverso modo anaffettivi che trovano il modo di diventare complici in nome e per conto di una violenta esposizione delle proprie frustrazioni, di trovare nella prevaricazione esercitata sui più deboli una fede da poter seguire. Le loro vite ci vengono presentate parallelamente, come delle cose ben distinte e distanti. Poi li vediamo insieme e nell’incontrarsi, l’indolenza che ha pietrificato le loro vite, si trasforma in una caccia notturna vissuta come una sorta di gioco rivitalizzante. Michalis Konstantanos li ha immobilizzati dentro una regia glaciale ed essenziale, architettata per far camminare lungo binari paralleli l’apatia che si trasforma in violenza incontrollata con l’aria di dismissione che avvolge e coinvolge l’intera società greca. Altro film interessante prodotto dalla vitale (e disturbante) cinematografia greca.
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