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Sparrows Dance

Regia di Noah Buschel vedi scheda film

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La recensione su Sparrows Dance

di leporello
8 stelle

"Se qualcuno accecasse gli occhi dei falchi/
 noi passeri potremmo danzare ovunque ci piaccia"
Sono gli ultimi due versi di una poesia (gli unici) che Wes (Paul Sparks), di professione idraulico, ma di ispirazione sassofonista jazz, recita alla “donna nell’appartamento” durante la loro prima cena insieme (nessun nome è attribuito al personaggio interpretato da Marin Ireland, e tale, “donna nell’appartamento”,  rimarrà fino ai titoli di coda).
In questo film che potrebbe tranquillamente essere un pièce teatrale, dove curiosamente gli scarni titoli di testa sono piazzati dopo 30 minuti dall’inizio, sono solo due i personaggi che lo abitano (curiosità: Marin Ireland è già la seconda volta che si cimenta in un film così, dopo il sofisticato “28 Hotel Rooms”), i due fragili passeri esposti al pericolo delle loro fobie predatrici, dalle quali cercano, fatalmente, reciproco rifugio.
A tratti simpatico e spiritoso (la scena del primo incontro tra i due nel bagno difettoso di lei, con tanto di estemporanea competizione a chi è più bravo nel riprodurre i rumori più impossibili, è un siparietto delizioso), a tratti ambizioso (ma con modestia, e l’aver trovato la giusta quota alla quale poter volare è il miglior punto del film) nei brevi risvolti “intellettuali” in cui i due si scambiano non tanto nozioni, ma piuttosto “emozioni” in ambito letterario o musicale, intimista fino al midollo, laddove soprattutto Marin Ireland si lascia scansionare senza pudore attraverso i suoi occhioni blu fin nel profondo, attraverso tic nervosi, sguardi persi, silenzi e pause perfettamente calibrati, musicato alla perfezione, con una colonna sonora che spazia dal rithm’n’blues vocale anni 60, fino all’elettro-clash dei Cassius, passando per sonorità di singole corde pizzicate in stile teatro NO giapponese (curiosità: anche Michael Shannon, non per caso attore ormai tra i leader di questo cinema americano indipendente, firma un pezzo della colonna sonora), il film del 35enne Noah Buscel che si è aggiudicato il premio come miglior sceneggiatura all'Austin Film Festival, è un’opera intelligente, delicata, tenera, minimalista nel senso (e nel risultato) migliore del termine, coraggiosamente “low” tanto nel budget, quanto (è lecito supporre) negli incassi al botteghino, una piccola opera d’arte libera, pulita, schietta e sincera, dove i migliori sentimenti non hanno nemmeno bisogno di chiedere “come ti chiami?” per poter volare in perfetta sintonia, come i due passeri della scena madre da cui è tratto lo snapshot della locandina che danzano inquadrati prima da lontanissimo, poi sempre più stretti fino al primo bacio, intanto che i falchi, accecati dalla poesia, fanno rotta, almeno per un momento, verso altri lidi.
Invisibile per sempre, un film assolutamente da vedere.

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