Regia di John Butler vedi scheda film
Dall’Irlanda - senza troppo furore - arriva un nuovo addio al celibato cinematografico dal movimento irrequieto, che però si distanzia dal più fortunato Una notte da leoni per un tono moralistico che smorza anche quanto sembrerebbe andare controcorrente.
Il film di John Butler, pur non mancando di spunti gradevoli, nasce datato, tanto che sembra di assistere a una commedia con almeno 15/20 anni sul groppone.
Fionnan (Hugh O’Conor) è in procinto di sposarsi e la sua futura moglie spinge il suo migliore amico Davin (Andrew Scott) a organizzare l’addio al celibato. La scelta ricade su una salutare escursione nella natura, ma quello che doveva essere un tranquillo week end tra amici, viene sconvolto dall’irruzione di The Machine (Peter McDonald), il fratello della sposa, completamente fuori controllo. Nonostante le paure e alcuni disguidi, saranno giorni importanti per tutti i partecipanti, in previsione di scelte in grado di determinare il loro futuro.
Quando l’ansia di matrimonio – anche questa mi pare un po’ fuori tempo, almeno in queste modalità – monta, non c’è niente di meglio di un bell’addio al celibato per staccare la spina e chissà, magari tirare fuori qualche scheletro dall’armadio e ricavarne una lezione positiva.
Praticamente, The stag è racchiuso in questa stringente descrizione, una commedia tanto genuina quanto ingenua, perfettamente intelligibile fin dalle prime righe e certamente priva del dono della lungimiranza, piuttosto controllata e con poche idee, per quanto quest’ultime sembrino anche sufficientemente chiare.
Ne consegue che, nonostante lo sfondo sia una gita fuori porta, non si respira aria fresca, con gli uomini del gruppo più imbranati degli hobbit all’inizio del primo capitolo tolkeniano di Peter Jackson e anche l’elemento incomodo The machine, è semplicemente un guastatore che in altri film innervati da amicizie maschili alle prese con feste, sarebbe stato al più leggermente più sfasato della media.
In aggiunta, questi fattori sono adagiati su una progressione dal carattere placido, con la miccia che si accende solo sporadicamente: nella prima parte per un diverbio sugli U2 (poi ripreso rilasciando empatia), nella seconda per l’ingresso degli effetti dell’mdma, con seguente notte sopra le righe e postumi del giorno dopo, con i nostri in versione cavernicola.
Il succo rimane comunque ristretto, anche il sempre più lanciato Andrew Scott – già noto anche da noi per Sherlock, Pride e Spectre - si perde nel mucchio, all’interno di un processo di conoscenza, di amicizie che si consolidano e di esperienze da condividere, un insieme che porta ad affrontare problemi spesso accantonati per paura, arrivando a un finale di rara distensione, tipico delle commedie romantiche britanniche di qualche stagione fa, ma senza condividerne lo Hugh Grant di turno e nemmeno una guida produttiva dal fiuto superiore.
A rischio noia, con un percorso telefonato, se non altro almeno schietto.
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