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I Am Yours

Regia di Iram Haq vedi scheda film

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La recensione su I Am Yours

di OGM
8 stelle

Io sono tua. Ma non è vero, si fa per dire. Perché io non sono di nessuno, anche se vorrei tanto appartenere a tutti. A tutti quelli che mi conoscono da sempre, oppure mi hanno incontrato da poco. Tutti quelli, insomma, che non riescono ad amarmi. Mina è una giovane donna di origine pakistana, che vive in Norvegia con la famiglia d’origine e suo figlio, il piccolo Felix. È separata dal marito Martin, un suo connazionale, che è titolare di uno studio di architettura, ed ora ha una nuova compagna. A Mina, invece, rimangono soltanto i suoi sogni irrealizzabili, ai quali, però, continua ad aggrapparsi con tutta l’anima. Li aspetta ad ogni angolo della strada, e si illude costantemente di poterli avere a portata di mano. Il primo venuto è il potenziale uomo della sua vita. E non può essere così difficile, per lei che è un’attrice, farsi assegnare un ruolo importante in un film. Mina ci crede, e si butta a capofitto in ogni occasione, anche la più futile ed improbabile. Purtroppo i suoi voli di farfalla triste finiscono immancabilmente nel terreno molle viscido della paura altrui, del disincanto di cui è ammalato il mondo, della prudenza che serve da scudo contro le frustrazioni. Jesper, che pure è un artista, non ha il coraggio di lasciare la sua autarchica indipendenza per imboccare la strada di una nuova forma di libertà, condivisa con una donna ed un bambino, e dunque non meno ricca di sorprese. Forse è soprattutto l’entusiasmo di lei, viziato da una sfrontata insicurezza di adolescente, a spaventare chi la circonda. A cominciare dai suoi genitori e dai loro amici, che sono ancora attaccati ai valori tradizionali del loro Paese, e non tollerano il suo atteggiamento spregiudicato. Ma anche gli stessi norvegesi vedono in lei un comportamento improntato all’eccesso, ad una passionalità troppo spontanea e diretta, che non accetta le mezze misure, i passi indietro, i dubbi che invocano una salutare pausa di riflessione. In questa storia, il conflitto tra antico e moderno non si disputa sul piano delle usanze  e dei codici morali, perché riguarda, in maniera più profonda, l’approccio ai sentimenti e la gestione delle emozioni, e, più, precisamente, lo spazio che la società intende concedere alla loro azione disturbatrice della quiete individuale e dei delicati equilibri nei rapporti interpersonali. L’utopia di Mina è l’idea – ispirata ad un universalismo di stampo primitivo - di poter esistere per se stessa trascinando tutti gli altri, a suo piacimento, nel turbine della sua gioia di dare e ricevere. Intorno a sé non vede confini né vincoli, a partire da quelli derivanti dalle difficoltà di comunicazione, dal rischio di essere fraintesi, e dal rispetto per l’altrui riservatezza. Sono gli ostacoli sviluppati dalla civiltà (occidentale od orientale che sia): in un contesto culturalmente evoluto la convivenza è regolamentata dalla presa d’atto delle differenze che impongono distanze, e consentono l’avvicinamento solo in forma graduale,  e sulla base di un opportuno accordo fra le parti. Mina, per contro, è animata da un’energia primigenia che rifiuta tali limitazioni, percependole come manifestazioni di egoistica chiusura. Per una volta, la trasgressione appartiene al passato, perché si tratta di quella naturale ed incondizionata che precede l’istituzione delle regole. Mina ne è la giovane dea, minuta ed acerba come le sensazioni appena nate, prive di spessore, non ancora rese dure e robuste dall’elaborazione della coscienza. In questo film la sua figura si muove come un filo d’erba in mezzo ad una foresta secolare, cosparsa di tronchi che fanno ombra e non si sanno piegare. E lei, così, rimane da sola, una creatura tenera e flessuosa, l’unica che si senta percuotere dal soffio del vento.  

 

Jed er din ha concorso per la Norvegia al premio Osacr 2014 per il migliore film straniero.

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