Regia di Paul W.S. Anderson vedi scheda film
Le premesse di “Pompei”, non erano buone, Paul W.S. Anderson non è certo un regista attento agli sviluppi di una trama, ma quasi completamente orientato, monodimensionalmente, verso una concezione spettacolare che il resto tende a stritolarlo (quando va bene, almeno c’è qualcosa).
Purtroppo, quanto detto si verifica anche in questo caso, con gli ipotizzabili difetti che diventano realmente macroscopici.
79 a.c., Milo (Kit Harington) arriva a Pompei come schiavo che nelle arene diventa una vera e propria macchina mortale.
Fortuitamente conosce la bella Cassia (Emily Browning), promessa sposa, controvoglia, di un importante politico romano (Kiefer Sutherland) e quando il Vesuvio erutta, avrà l’occasione di vendicarsi di chi gli ha sterminato, a suo tempo, la famiglia, provando a fuggire insieme alla sua amata.
Se non ci si potevano aspettare grandi riflessioni, era comunque obbligatorio un minimo di cura in più nel racconto, che prende a destra e a manca (in primis “Il gladiatore” (2000), ma poi anche “Titanic” (1997) per genesi dell’amore ed evento devastante) senza il minimo sforzo espositivo.
L’eruzione del Vesuvio diviene così quasi un pretesto per raccontare, male, soliti intrecci, tra un amore impossibile, il classico politico romano cattivissimo e l’amicizia tra schiavi.
Lontano dal kolossal puro, più vicino al catastrofico (unico elemento di interesse), anche se per arrivarci ci vuole parecchia pazienza, un’ora abbondante, nella quale trovare qualcosa da salvare è impresa più ardua di quanto non sia quella di Milo (vendetta contro i romani, conquista dell’amore).
E poi, anche quando la natura si scatena, ecco svariati convenevoli controproducenti anche nei momenti più caldi; per una frase enfatica anche il Vesuvio sembra zittirsi per qualche secondo.
Insomma, meno male che almeno c’è la lava, verrebbe da dire, su tutto il resto vi è poco da salvare, anche i due giovani, e volonterosi, interpreti, Kit Harington e Emily Browning, pur non mancando di un discreto talento, poco possono di fronte a ciò che i loro personaggi sono chiamati a fare e soprattutto dire.
Invece è un disastro Kiefer Sutherland, che negli ultimi vent’anni ha trovato una sua notevole dimensione nelle serie televisive, ma praticamente mai al cinema, semplicemente appare fuori posto (e quindi in un certo senso adeguato alla pochezza generale).
Tutto questo, per un discreto disastro, operazione fuori tempo, demolita dalla critica, per lo più scansata dal pubblico (flop al botteghino), insomma tutti, con poche eccezioni, d’accordo per una volta, col peccato mortale di non essere per niente riusciti a riportare in auge un pezzo di storia antica che in fondo qualche volta non sarebbe male ritrovare in sala (anche se, ovviamente, con più qualità).
Inconsistente e (troppo) banale.
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