Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Il diavolo sta nei dettagli, pare dirci Wim Wenders col suo esperimento, solo in parte riuscito, di melodramma in stereoscopia. Lo scavo di un lutto atroce - che coinvolge a diverso titolo uno scrittore rampante e una madre single modificando per sempre le vite di entrambi - non può farsi nelle parole: le frasi che i due protagonisti si scambiano sono misere e ridicole, di fronte all’insensatezza del fato, alla profondità del dolore. Lo stesso vale per la sceneggiatura su cui Wenders incardina il suo 3D: parole insufficienti, volatili e risibili. La profondità si cerca altrove: nel pulviscolo in tre dimensioni che volteggia fra le luci (firmate dal grande Benoît Debie), nello spazio fra i corpi di individui resi insignificanti dalla misura della pena. Non è un caso che il personaggio di James Franco (qui in vesti di idolo pop quasi sottilmente autobiografiche e dunque sinistramente ironiche) sia uno scrittore-impostore, autore prolifico e amato grazie a opere frutto, anche, proprio del dolore che ha esperito e causato. Ne esce un dramma raggelato, quasi un thriller dell’anima, che dopo uno degli incipit più memorabili degli ultimi anni (raccontarlo sarebbe un delitto) trascina i suoi protagonisti nelle amare e protratte conseguenze di gesti fatali, con la macchina da presa testardamente aggrappata agli spazi, alle intercapedini, e una tale mancanza di adesione al sentimento dei personaggi da ridursi, spesso, a mero esperimento formale.
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