Regia di Patrick Hughes vedi scheda film
Alla consueta rimpatriata dinamitarda della Stallone Band c’è sempre da divertirsi. All’appello mancano Jean-Claude Van Damme, Chuck Norris e Bruce Willis, ma Wesley Snipes, Antonio Banderas, Harrison Ford e Mel Gibson - nei soliti panni (vedi Machete Kills) del big boss schizoide - gigioneggiano a sufficienza per non farceli rimpiangere. Assieme a loro un drappello di giovani leve, chiamate a prendere il posto della vecchia squadra a seguito di una missione fallita. Ma fallisce anche il secondo tentativo, e Stallone deve unire i reparti ricorrendo al solito discorsetto sul “fare gruppo per vincere”, incentivo motivazionale per prepararsi a un epilogo guerrigliero di quasi quaranta minuti interamente al piombo.
Cotto, stracotto e più volte mangiato, il prodotto Mercenari è sempre più elefantiaco e ripetitivo, tanto nella definizione dei personaggi, quanto nelle meccaniche action. L’incontro tra navigati e imberbi guerrieri è un gioco di specchi, nel quale la generazione stalloniana («Non siamo più il futuro, siamo il passato») si rimette in gioco non per affermare la propria immortalità, quanto per ribadire la persistenza del mito al cospetto della caducità dei corpi: pura sospensione dell’incredulità, durante la quale riaffiorano i sigari di Predator tra le labbra di Schwarzy, i lampi di follia di Interceptor negli occhi di Gibson e i coltelli di Blade tra le mani di Snipes. Il giochino, elementare ma ben ritmato, funziona sempre, anche se meno di una volta.
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