Regia di Patrick Hughes vedi scheda film
locandina anomala, forse relativa al progetto iniziale poi mutato, che riporta coinvolto in regia il nome di John Woo ed alcuni attori del precedente episodio, qui assenti.
Stallone sono trent’anni che gli do simpaticamente addosso, ma poi ogni volta che torna, che si ripropone, che torna a galla, sempre uguale a sé stesso e sempre più gommoso e plastificato, non riesco a non andare a vederlo in sala. Imbroccata una via l’attore italoamericano ha sempre teso a rincorrerla, sfociando nella serialità più insistita e cocciuta.
La notizia buona di questo terzo capitolo, pellicola che durante tutto il Festival di Cannes nel maggio scorso ha tappezzato ovunque pareti di hotel di lusso e tabelloni luminosi e kitch, è che Stallone, magari non proprio un poeta, ma si riappropria della sceneggiatura, scongiurando lo scempio devastante del secondo baracconesco episodio, e tornando all’action pura e forse pure demodé che lo ha caratterizzato in tutti i suoi più noti ruoli degli anni ’80 e, in ritardo coi tempi, anche lungo i ’90, prima di rinascere con molte altre vite e medesimi stili, nel nuovo secolo e millennio, epoca in cui ha pure testardamente traghettato in estremis e apparentemente fuori tempo massimo, ma con stupefacente dignità, due lodevoli epiloghi dei suoi due personaggi più noti, Rocky e Rambo.
I "VECCHI" MERENARI:
L’incipit rocambolesco della pellicola sembra un dimìnamico 007 anni ’80 e documenta la movimentata azione architettata dai pochi superstiti della prima numerosa squadra di professionisti, per liberare, da un treno blindato diretto ad una inaccessibile prigione dell’est europeo, un agilissimo bandito/killer che viene utile a Barney (Stallone) per rinsaldare le file smunte di quella squadra un po’ raffazzonata e spoglia. Si tratta di Wesley Snipes, di ritorno al cinema dopo le concitate vicende penitenziarie conseguenti ad un arresto per evasione fiscale, riportato ironicamente in una battuta da parte dello stesso quando Christmas (Statham) gli chiede le ragioni della sua detenzione in quel postaccio.
LE NUOVE LEVE:
Quindi l’azione si sposta sulla banchina di un porto mercantile, interessando un vecchio membro della banda, tale Conrad Stonebanks - (è Mel Gibson, in gran forma a dispetto delle svariate voci che circolano su di lui), da Barney creduto morto dopo che gli sparò anni addietro quando questi tradì clamorosamente il gruppo - che ferisce gravemente uno dei capisaldi dei vecchi Expendables (il nero e muscolosissimo Terry Crews) come sfida diretta a Barney stesso.
Sensi di colpa tutti stalloniani (che il dinoccolato attore sessantottenne ormai riesce a reggere a fatica, con quella mimica facciale quasi completamente compromessa dall’accanimento lifting a cui certamente si sottopone costantemente) impongono al capo squadra di sciogliere il gruppo di veterani per evitare altri gravi episodi e relativi sensi di colpa (l’ironia un po’ demente sempre presente quando c’è in giro Stallone è che gli Expendables uccidono centinaia di nemici e va tutto bene, poi quando uno di loro si scalfisce un unghia, allora gli altri iniziano a piangere coi lacrimoni come bambini. Che sciocchi inguaribili puerili, ‘sti americani!); ma nel contempo e in modo celato di crearne uno nuovo, forte di nuove leve, fresche e scattanti. Un passaggio generazionale che tuttavia non escluderà l’intervento di molti “vecchi” irriducibili mercenari, dimostrando che la saggezza e l’esperienza non sono valori superflui ma anzi completano alla perfezione lo scatto e il riflesso pronto suggerito dalla giovinezza e dalla forza fisica.
Puerile dicevamo, ma meno fastidioso ed enfatico del ridicolo e patetico secondo episodio, The Expendables III è diretto con efficacia da un Patrick Hughes che si limita ad obbedire agli ordini, ma lo fa con diligenza e lodevole coordinazione, giostrando abilmente tutta una baraonda di vecchie e nuove star dell’action a cui uno Stallone generoso e scrupoloso, in veste di sceneggiatore tutt’altro che geniale ma almeno rispettoso, ha assicurato almeno un momento di ribalta per ognuno.
Il cast di volta in volta sempre più faraonico dimostra come (ed è questo il lato più malinconico o triste della formula, con particolare riferimento a nomi come Stallone, Swartzenegger, Jet Lee, Banderas, Ford, Laundgreen, Gibson, Snipes), una volta imbroccata la via inesorabile del declino (fisico e/o professionale, a seconda dei casi) ogni star (o ex star) debba per forza di cose ricorrere a queste strategie, che privilegiano la chiamata, alla scelta del copione più consono, tipico di quando si è sulla breccia del’onda; e ciò per cercare di rimanere sulla breccia, per mantenere il tenore di vita dei bei tempi che furono, per affannarsi ad aggrapparsi ad un successo inesorabilmente limitato nel tempo e compromesso da un trascorrere degli anni che non guarda in faccia nessuno, nemmeno le più irriducibili e siliconate star hollywoodiane.
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