Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Si fa presto a parlare di "film testamento": ma negare che questo "Aimer, boire et chanter", uscito postumo un paio di settimane orsono in Francia dopo essere stato presentato con un certo successo all'ultima Berlinale, possa in qualche modo costituire un palese commiato dal mondo del cinema (ma pure del teatro e dell'arte in generale), significherebbe negare l'evidenza. La bara del finale, che è tutto ciò che ci viene concesso di vedere del misterioso George Riley, indefesso seduttore anche se vecchio e malato, che crea trambusto tra le tre consorti di altrettante coppie di attori inglesi nei tempi morti della recitazione, quando si esercitano al ripasso mentre curano ii giardino e preparano la colazione, non può toglierci di testa che il gran maestro del cinema d'Oltralpe stesse ironicamente pensando a se stesso. Con questa sua ultima opera, tratta nuovamente, come già i sublimi gemelli Smoking/No smoking e poi Cuori, dalla piece di Alan Ayckbourn, Resnais si preoccupa, più che di narrare vicende nuove e originali, di creare un legame saldo ed inviolabile non solo tra cinema e teatro, ma pure tra costoro e la striscia disegnata del fumetto. Cio' che più colpisce in quest'opera maliziosa, bizzarra e un po' maldestra, è infatti l'originale commistione tra teatro filmato (palesemente di cartapesta, fiori finti e tendoni che sostituiscono porte ed usci o anche le pareti di case e villini di campagna), cinema (con vedute agresti della campagna in ogni stagione; un paesaggio ameno percorso minuziosamente come da passeggeri di un'auto a velocità moderata che esalti le nostre esigenze contemplative di spettatori privilegiati) e il disegno, che anticipa l'alternarza tra le varie scene che interessano le vicissitudini amorose delle tre coppie "scoppiate".
Un'esigenza quella di Reisnais, che coincide curiosamente con quella di un altro grande regista francese, Louis Malle, che volle pure lui concludere la sua avventura cinematografica e terrena con un teatro sublimamente filmato nel bellissimo Vanya sulla 42esima strada. L'ultimo film del grande Reisnais non è certo all'altezza non tanto dei suoi capolavori assoluti del passato, da tempo irraggiungibili, ma neppure delle intelligenti commedie della casualità e degli istinti amorosi degli anni '90, con cui il brillante maetro ci aveva abituato a condividere la leggerezza e l'acume di uno stile più giovane e vitale di quello di tanti talentuosi esordienti. Qui la materia si fa più meccanica e pesante, e i bisticci della gelosia delle coppie diventano un ripetitivo gioco al massacro a favore del re del tavolo da gioco: quel George beffardo burattinaio invisibile (come lo e' abitualmente un regista) che deve partire per Tenerife con una delle tre donne, ma preferisce togliersi elegantemente di scena per non distruggere equilibri già precari e traballanti.
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