Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
La fantascienza ha affascinato da sempre numerosi registi per tutta la Storia del Cinema, tant’è che anche quelli più indirizzati su altre tipologie di genere, son poi capitati a dirigere almeno un film fantascientifico.
Questo perché sin da piccoli e da ragazzi affascinati dalla controparte letteraria e cinematografica del loro passato, ma soprattutto attratti per le incredibili potenzialità creative del genere che ha la capacità di creare storie fantastiche e lontane dal nostro spazio-tempo, ma in realtà molto vicine e realiste nel riflettere la condizione intrinseca della natura umana.
Nella lista dei numerosi registi che hanno sperimentato la fantascienza, Nolan vi si è voluto inserire dopo il clamoroso successo del “Cavaliere Oscuro – Il ritorno” insieme a suo fratello nella scrittura del suo Interstellar, cercando però per il suo nuovo film fantascientifico un taglio più realistico ed antropocentrico basandosi sulle più accertate e note teorie scientifiche del nostro tempo per realizzare la sua catartica epopea spaziale al cui centro ci sarà solo ed esclusivamente l’essere umano. Con tutte le sue imperfezioni. Con tutti i suoi sentimenti. Con tutta la sua anima.
Il lungometraggio narra il tragico destino del pianeta Terra nel XXI secolo sull’orlo di una carestia globale a causa di una “piaga” che si nutre dell’azoto atmosferico consumando quantità notevoli di ossigeno, provocando anche notevoli tempeste di sabbia che accelerano una desertificazione devastante per i campi coltivati. In questa crisi planetaria, la quasi totalità del genere umano è rassegnata a diventare una massa di agricoltori per sopravvivere all’inevitabile estinzione, evitando di conseguenza qualsiasi spreco di denaro in avventure spaziali per trovare nuovi pianeti abitabili e creando una sorta di disinformazione globale per disincentivare i giovani ad imbarcarsi in carriere improduttive in una società pragmatica e rassegnata.
Nella disperazione generale, Joseph Cooper, ex ingegnere e pilota della NASA ora agricoltore, non si vuole far abbattere dai tempi duri che corrono, insegnando dunque a sua figlia ad amare la Scienza stimolando sempre la curiosità verso il mondo che la circonda per non disilluderla già nella sua fanciullezza sulla cruda realtà che dovrà affrontare da grande, infondendole quindi speranza e determinazione verso il futuro.
Un giorno durante le solite esercitazioni per ripararsi dalle tempeste di sabbia ormai tossiche, Cooper scopre nella stanza della figlia Murph che è presente un’anomalia gravitazionale che forma delle strane strisce di sabbia riconducibili al linguaggio binario. Una volta decifrato “il messaggio in codice”, l’ex ingegnere spaziale scopre che sono delle coordinate geografiche che lo portano in luogo sperduto nel deserto, dove viene assalito e poi portato di nascosto in una base segreta che si scopre successivamente essere la sede della stessa NASA per cui ha lavorato per tanti anni. La segretezza della loro ubicazione è dovuta a causa dello scioglimento dell’agenzia governativa aerospaziale dopo l’affermarsi della crisi planetaria che non permetteva più di spendere ingenti capitali verso nuove esplorazioni spaziali.
L’ex professore di Cooper John Brand spiega che la loro attività segreta ha il fine ultimo di salvare la razza umana “trasportandola” verso un nuovo pianeta abitabile grazie ad un cunicolo spazio-temporale detto “wormhole” formatosi vicino a Saturno che permette di viaggiare in poco tempo verso una nuova galassia. Questa anomalia spaziale secondo gli esperti della NASA è stata creata da degli esseri superiori penta dimensionali che trascendono le leggi classiche dello spazio-tempo, dando quindi la possibilità agli esseri umani di esplorare nuovi pianeti potenzialmente abitabili.
Per la riuscita di questo ultimo tentativo disperato per salvare dall’estinzione l’intera razza umana, John Brand chiede quindi a Cooper di partecipare ad una missione spaziale guidando l’Endurance, un’astronave creata appositamente per le esplorazioni spaziali che ha il compito di recuperare gli altri astronauti inviati a “colonizzare” i nuovi pianeti della nuova galassia oltre il wormhole per poi ritornare sulla Terra coi nuovi dati acquisiti da quest’ultimi.
Cooper sentendosi in dovere di salvare l’umanità, accetta la missione da pioniere abbandonando di fatto il ruolo di padre lasciando la sua famiglia in balia delle disgrazie del pianeta Terra, ma promettendo che un giorno ritornerà a casa per poter riabbracciare i suoi figli e portarli verso la nuova “casa” oltre il sistema solare, affidandosi anche agli studi del suo ex professore che per il suo arrivo avrà risolto la “teoria del tutto”, ovvero uno studio ormai decennale capace di risolvere qualsiasi fenomeno fisico conosciuto dall’essere umano tra cui quello di controllare la gravità.
Dopo il doloroso addio soprattutto a sua figlia che lo odierà per questa sua drastica scelta, Cooper si imbarca con un esiguo equipaggio di astronauti sull’Endurance per compiere il viaggio interstellare che dovrà salvare una volta per tutte il destino dell’umanità e quindi anche quello della sua famiglia.
Sarà perché ho un debole per la fantascienza, sarà perché spesso seguo più il cuore che la ragione, sarà perché mi son fatto stregare dalla magnificenza dello Spazio, sarà perché mi sono abbandonato completamente alle emozioni, ma Interstellar rappresenta a mio avviso una delle summe della fantascienza adulta degli anni 2000 che conferma l’incredibile versatilità di Christopher Nolan che qui firma una delle sue opere migliori.
Insieme al fratello Jonathan infatti, decide di imbarcarsi in questa epopea spaziale dove il suo impianto realistico e dunque antropocentrico risulta magnetico nel catturare l’attenzione dello spettatore che si vede sin dalla prima inquadratura catapultato in questa apocalisse terrestre che non può che colpirlo nell’emotività vista la verosimiglianza delle vicende alla nostra realtà.
A differenza di Inception infatti, in Interstellar il regista britannico riesce perfettamente a bilanciare sia una storia sentimentale sia un discorso più stratificato ed approfondito sulla natura umana, che grazie ad un ottimo montaggio alternato riesce ad esplicare tutte le contraddizioni e le imperfezioni dell’uomo di fronte all’ignoto dello Spazio e alla catastrofe planetaria.
La commistione di questi due aspetti fondamentali riesce quindi a trovare un giusto equilibrio nel trasmettere la giusta empatia con il grande pubblico per dirigerlo verso discorsi teorici scientifici abbastanza complessi che per alcuni potrebbero risultare dei banali spiegoni, ma che invece rientrano nella grande logica che il regista britannico aveva in mente per il suo Interstellar, ovvero un’interpretazione più realistica del genere fantascientifico per mostrare che è possibile conferire alla razionalità scientifica anche una emblematica spiritualità che poi sarà il fulcro fondamentale per comprendere l’irrazionalità intrinseca dell’uomo.
L’odissea spaziale che viene avviata dopo un lungo, catartico e terrestre primo atto, acquisisce così un’aura epica e tremendamente sfaccettata nella sua lunga esplorazione spaziale in cui Nolan mette a nudo tutte le fragilità dell’uomo che alla deriva della sua esistenza, sarà mosso dai suoi istinti più primordiali come nel caso dell’astronauta Mann, emblema dell’individualismo “illuminato” pronto a sacrificare con cinismo l’intera razza umana per raggiungere un “bene superiore”.
La razionalità scientifica che schiaccia il sentimentalismo in favore del puro calcolo algoritmico è dunque una costante nella titanica impresa lasciata in mano a Cooper e al suo equipaggio, dove gli errori saranno figli delle emozioni e le bugie frutto di disillusioni, quest’ultime alimentate da una sfiducia pragmatica che pone gli stessi innovatori (gli speranzosi pionieri della NASA) sullo stesso piano dei conservatori (le élites della Terra improntate su una post-verità in cui sarà l’agricoltura a salvare il mondo).
Lo scontro ideologico tra innovazione e conservazione della società è un tema molto importante che Nolan riesce a sviscerare egregiamente in un contesto apparentemente spaziale, ma che in realtà riflette perfettamente il pianeta Terra dove da sempre si scontrano queste due visioni del mondo che hanno poi segnato il retaggio dell’umanità.
Cooper incarna in questa eterna lotta dove sembra prevalere la conservazione anche nella stessa innovazione, il lato più altruistico e spirituale degli innovatori destinati ad alzare la testa anche nei momenti di più assoluta disperazione, in cui la chiave risolutiva per evitare l’annichilimento esistenziale risiede nella propensione verso l’impossibile e l’irrazionalità, avendo però sempre a mente i valori per cui lottare.
Questa incredibile tenacia che rappresenta un vero e proprio inno verso l’evoluzione, l’esplorazione e la libertà di abbattere ogni catena che lo spazio-tempo sembra imporre al genere umano, trova il suo più grande fulcro nell’amore paterno di Cooper verso sua figlia Murph, elemento emozionale e drammaturgico fondamentale per risolvere l’eterna maledizione “divina” che sembra condannare la missione spaziale verso lo sbaraglio.
La tematica nolaniana della genitorialità problematica ritorna nuovamente, e questa volta in veste maggiore per sottolineare nuovamente come la costante ricerca della perfezione dell’essere umano attraverso formule scientifico matematiche non sia la sola risposta per risolvere dubbi amletici materialmente impossibili da soddisfare col puro raziocinio.
Il legame paterno reciso in favore della scienza, ma non senza lasciare una forte impronta sentimentale ad entrambi i poli ovvero padre e figlia (di fatto figli della scienza, promotori dell’impossibile e base per una futura innovazione), costituisce incredibilmente la variabile irrazionale fondamentale per ultimare lo schema finale della “teoria del tutto”, dove in una sequenza magnifica nel tesserato all’interno del buco nero Gargantua, padre e figlia riescono a comunicare in una quinta dimensione dove lo spazio-tempo non segue più nessuna regola a noi conosciuta se non quella dell’indissolubile amore, quest’ultimo il collante paradossale per salvare l’intera razza umana.
L’universo che connette la quintessenza di ognuno di noi, l’amore come capacità universale per trascendere lo spazio-tempo, un legame famigliare che permette al genere umano di sopravvivere nello spazio profondo, la scienza che si piega all’irrazionalità del sentimento e lo spirito della scienza che acquisisce potenza espressiva grazie alla Settima Arte, l’antropocentrismo nolaniano che asciuga la fantascienza per rendere credibile e vicina un’epopea che entra di diritto tra le migliori opere Sci-Fi del XXI secolo coniugando egregiamente l’intelletto con l’intrattenimento e connettendo le masse popolari con l’illimitata fantasia del genere fantascientifico.
Interstellar costituisce dunque un grandissima opera fantascientifica, seppur non priva di difetti come il presunto “genio nolaniano”, grazie ad una centratura tra sentimento e intelletto funzionale per quello che vuole essere: un raffinato blockbuster d’autore per le masse.
La notevole regia di Nolan inoltre, raggiunge vertici assoluti grazie anche ad un’amorevole ricercatezza nell’uso dell’analogico rispetto allo strabordante digitale di Inception per seguire un’artigianalità tipica dei capolavori fantascientifici del passato, gestendo al meglio anche la tecnologia IMAX relegandola soprattutto alle inquadrature spaziali per mostrare l’immensità di uno Spazio infinito, profondo, vuoto, silenzioso e allo stesso tempo magnetico per la sua vastità stellare.
La colonna sonora di Hans Zimmer per questa epopea fantascientifica di caratura omerica lavora incredibilmente in sottrazione, abbandonando dunque la pomposità presente prepotentemente nella trilogia del Cavaliere Oscuro per abbracciare un suono più meditativo, delicato, malinconico e spaziale.
Nolan con questa sua nona fatica mi ha dunque conquistato per la sua sofisticata ricerca nel reinterpretare il mito della fantascienza conferendogli un’aura realistica, ma allo stesso tempo profetica per l’avvenire dell’essere umano, tanto da farmi riflettere su un potenziale esodo problematico della razza umana verso un altro pianeta oppure io stesso astronauta in balia dello spazio profondo risucchiato nell’infinito di un buco nero.
Insomma, Interstellar proprio per il suo impianto epico dal taglio scientifico mi getta in riflessioni sullo spazio profondo che di solito non mi pongo quotidianamente, ma che mi invoglia ogni volta a fine visione di approfondire certi fenomeni astrofisici che indubbiamente esercitano un fascino sull’esistenzialismo di ognuno di noi. E tutto ciò non fa altro che farmi amare la fantascienza con tutte le sue imperfezioni tra cui il noto Interstellar nolaniano.
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