Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Ossessionato dal tempo e dallo spazio e dal loro rapporto, dai cambi prospettici e dalle leggi della fisica, era inevitabile per Christopher Nolan arrivare negli infiniti mondi della fantascienza. E se ogni genere cinematografico impone dei codici e dei limiti è anche nelle possibilità del regista il tentativo di esplorarli e provare a superarli. E oltre l’orizzonte della comprensione razionale si vuole spingere CN. Quella che in Kubrick, nella parte finale di 2001, dopo il trip stellare, era la messinscena di uno dei misteri dell’universo, vita-morte-rinascita, da una stanza settecentesca all’utero cosmico, in Nolan diventa un altro viaggio, anch’esso metafisico, all’interno, questa volta, di un buco nero. Che cosa ci sarà dall’altra parte? Alice si deve essere chiesta la stessa cosa trovandosi davanti allo specchio. Dall’altra parte c’è una nuova forma percettiva, una dimensione, quale sia non ci interessa, dove il tempo diventa spazio e viceversa, in tunnel e curve. Come per tutte le esperienze umane che tendono a trascendere la nostra normale percezione (gli psichedelici ne sono un ottimo esempio), il primo passo è non avere paura del cambiamento, per poi capire come funziona la nuova dimensione in cui siamo entrati. L’idea di uno stato (mentale, fisico, spaziale) in cui si spezzino le catene della fisica che ci tengono in gabbia sulla Terra apre possibilità senza fine.
Il cinema di Nolan, se da una parte ricerca nella sceneggiatura e nell’intreccio una forma narrativa capace di superare o infrangere le barriere del racconto tradizionale (Memento, The Prestige), dall’altra, attraverso le immagini, vuole evolversi, diventare altro, oltrepassare i limiti imposti alla realtà dalla Natura e crearne una nuova (Inception, Interstellar). Questa immensa libertà, voluta, invocata, diventa quindi possibile sullo schermo, il cinema per CN è continua meraviglia, non solo visiva, ma soprattutto cognitiva, i punti di vista (dei personaggi, della macchina da presa) sono sempre in mutazione, non c’è stabilità, ogni cosa si può trasformare nel suo contrario.
In Interstellar il regista, ponendosi davanti al dilemma dell’estinzione della specie umana, si concentra sulla ricerca dei suoi archetipi. Allora non più gli individui ma ciò di invisibile che ci accomuna tutti. Che cosa? L’istinto di sopravvivenza, cioè il modo in cui ci riproduciamo. E poi l’amore. La forza che ci unisce gli uni agli altri.
L'amore è l'unica cosa percepibile che trascende dalle dimensioni dello spazio e del tempo.
Il resto dell’illusione della vita è quanto costruiamo intorno a noi, storie che raccontiamo e ascoltiamo, un gioco meraviglioso e crudele di emozioni e sentimenti, menzogne e verità, nell’attesa della notte e della fine. E in questa oscurità che inevitabilmente ci aspetta finiscono per risuonare ancora più brillanti e splendide le parole di Dylan Thomas:
Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.
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