Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Cast away in the space.
Di sola razionalità si muore, diceva qualcuno.
E Christopher Nolan lo sa bene.
Per questo i suoi film sono il ‘caos’ racchiuso o rinchiuso in uno spazio geometrico dai contorni den definiti, sono il freddo involucro di una fiamma ardente,
il cervello dotato di un cuore pulsante.
Probabilmente il padre del cavaliere oscuro era quel tipo di bambino che faceva a pezzi o smontava pezzo per pezzo un giocattolo e qualsiasi cosa gli capitasse a tiro per carpirne l’essenza, capirne come era fatto, cosa lo tenesse insieme e lo facesse funzionare.
Ed ecco che il fanciullino Nolan alberga ancora, vezzeggiato e ben nutrito, dentro il grande (lo si voglia o no) regista che oggi è diventato, visionario creatore di dimensioni/architetture altre, così vicine a noi da crederle possibili e al tempo stesso così lontane da far scattare lo scarto necessario (perché di cinema e di storie al cinema alla fine si tratta) tra verità e finzione, realtà ed immaginazione.
Dare forma a desideri e paure personali e universali, trasporre in immagine riflessioni adulte e fantasie infantili, con sfrontato coraggio (sfiorando anche e pesantemente il ridicolo).
Parlare d’amore. Intenderlo come un atto di fede,
come un salto nel buco nero del futuro che non si può conoscere per filo e per segno.
Come un contatto telepatico, come una sensazione che ci portiamo dentro e che mai ci abbandona, che ci impregna di una forza impossibile da misurare e quantificare, rendendoci dei superuomini per quanto consapevoli dei nostri limiti, delle nostre imperfezioni, debolezze e fragilità.
A dispetto del tempo che passa inesorabile e tutto trasforma e tutto cancella,
a dispetto delle incolmabili distanze siderali, dell’infinita disperata folle attanagliante e soffocante solitudine annegata in un mare di ore tutte uguali, che si fanno giorni, che si fanno anni.
Scivolando come sabbia fra le dita, impossibili da trattenere.
Umanità impotente, sconfitta. Forse....
Razionalizzare l’irrazionalizzabile è la magia di Nolan.
Inserendo nel suo complesso-contorto-complicato rompicapo interattivo la componente umana col proprio universo colorato di sfumature emozionali.
Può piacere tanto, non può piacere affatto. Ma il trucco funziona.
Lo sguardo si posa rapito sullo schermo fluidificato, totalmente assorbito dall’ennesima illusione immaginifica del cineasta britannico. Il quale sa sorprendere ed entusiasmare quando il gioco pare incepparsi e girare su se stesso per un tempo interminabile, simile ad una trottola che non conosce attrito.
E sfodera lampi di autentica ispirazione e genuini colpi di genio da lasciare ancora una volta il segno;
un altro tassello nel puzzle infinito della memoria cinefila.
E cosa importa se il tutto risulta poco credibile, perfino risibile.
Se il meccanismo non è perfettamente oliato e perde (piccoli) pezzi per strada.
Sarà pure principalmente una questione di testa. Ma il cuore ha sempre l’ultima parola.
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